Palermo, dalla voluttà al metodo

“Il nuovo capitalismo culturale (nel quale il vantaggio competitivo è dato dal “capitale intellettuale”) può avere due facce; può essere un nuovo Rinascimento oppure un’epoca cupa, un secolo buio, dipende da come sapremo bilanciare la commercializzazione della cultura, e quindi della vita, e il mantenimento di spazi culturali non mercificati”. (Jeremy Rifkin)

In precedenti articoli pubblicati su questa testata da chi scrive e da altri autori, si è fatto costante riferimento al concetto di città ‘normale’ come aspirazione possibile per cambiare il presente e il futuro di Palermo. In realtà, l’aspirazione a vivere in una città normale è comune a tutti i cittadini e si basa sulla necessità stessa che ha portato, circa mille anni fa, le persone ad abbandonare il fondo rurale per trasferirsi in nascenti agglomerati urbani spesso cresciuti alle falde di una rocca fortificata, nei pressi di un monastero benedettino, nelle vicinanze di una risorsa naturale quale un fiume, un giacimento minerario, una costa agevole o pescosa.
Il processo secolare dell’urbanesimo ha avuto la propria cifra nell’aggregazione di nuclei umani intorno a precisi riferimenti culturali (bisogno di protezione, vicinanza alle fonti di informazione, ecc.) economici (più facile fruizione della risorsa “chiave) politici (prossimità ai luoghi del potere decisionale).
La formazione originaria della città ruota dunque intorno ad un fulcro che ne rappresenta “l’idea forza”. Tale concetto di immediata comprensibilità e riscontrabile nell’esperienza empirica, risalendo alle origini di ogni piccolo o grande insediamento, è diventata un principio guida della Programmazione Integrata al punto da diventare un pre-requisito per gli interventi previsti e finanziati dall’Unione Europea, sin dal suo sorgere.
Il concetto di idea forza è quindi parte fondamentale di un metodo di sviluppo che permette di passare da una vaga aspirazione al cambiamento, sovente confusa e velleitaria, alla possibilità di realizzare quel cambiamento a partire da presupposti materiali o immateriali presenti nell’ ambiente che si considera.
Ciò andrebbe tenuto presente quando si parla di “un progetto per la città”. Non tutti i progetti, infatti, anche i migliori concepibili, sono adatti a tutte le città e, allo stesso modo, non tutte le città sono adatte agli stessi progetti. I risultati di progetti errati sono sotto gli occhi di tutti in città come Gela, Milazzo, Augusta, Termini Imerese, Trapani e, negli ultimi dieci anni, anche a Palermo. Ciò si verifica quando la regia del progetto sfugge dalle sedi di una politica consapevole e competente e passa nelle mani di interessi particolari, se non individuali, non sempre e non solo illegittimi, ma in ogni caso, assolutamente lontani dall’effettiva considerazione della vocazione naturale di un contesto urbano, rilevabile dalla sua storia e dalle sue caratteristiche naturali e culturali.
L’idea forza di un progetto integrato può essere definita, dunque come un’ipotesi per attivare i possibili sentieri di sviluppo di un’economia territoriale, fondata su un uso innovativo e/o sull’incremento delle risorse locali disponibili. L’idea forza può riguardare ad esempio la valorizzazione di una risorsa naturale o di un bene culturale,l’estensione di filiere produttive, l’applicazione di innovazioni, i collegamenti con un’opera infrastrutturale nuova, o altro. Le determinanti dell’idea forza sono quindi, almeno originariamente, di natura intuitiva ed induttiva: esse andranno naturalmente verificate e validate nelle fasi successive della costruzione del progetto integrato: fasi che potranno eventualmente retroagire sulla definizione di idea forza inducendone una motivata trasformazione. L’idea forza esplicita inoltre un’indicazione di sintesi sul progetto o sui progetti di maggiore dimensione (il core project) intorno ai quali ruoterà il progetto integrato territoriale.
I vettori che conducono alla produzione di un’idea forza possono essere così individuati:

a) La capacità di innovare il percorso progettuale.

L’idea forza deve fondarsi sulla possibilità di organizzare secondo un percorso progettuale originale ed innovativo le modalità di valorizzazione delle risorse ambientali, culturali, umane, produttive ed infrastrutturali del territorio. Proprio il riconoscimento dell’attuale insufficiente valorizzazione di tali risorse implica la necessità di una rottura degli equilibri pre – esistenti. L’idea forza deve quindi prefigurare esplicitamente nuovi sentieri di sviluppo e di crescita occupazionale dell’economia locale.

b) La capacità di agire sulle variabili di rottura del territorio.

L’innovatività e l’originalità del percorso progettuale da costruire intorno all’idea forza sono condizioni per condurre ad un mutamento delle attuali modalità di utilizzazione delle risorse, introducendo positive “discontinuità” rispetto alla situazione attuale. il progetto deve essere in grado di agire sulle “variabili di rottura” del sistema socioeconomico locale. Ciò assume nel programma la natura di punti di rottura con l’esperienza passata e si esprime con precisione attraverso un numero limitato di variabili di rottura ed orientare le scelte strategiche in

modo adeguato a generare le necessarie discontinuità.

c) La peculiarità, riconoscibilità e comunicabilità.

L’idea forza deve essere chiaramente ancorata alle vocazioni ed alle peculiarità del territorio. Essa deve insomma essere fortemente caratterizzante di un’area territoriale, eventualmente anche in termini storici e culturali. L’idea forza deve poter essere comunicata chiaramente all’esterno e costituire un elemento potente di riconoscibilità dell’area, quasi come se si associasse ad un marchio o ad un “logo”.

d) La chiara specificazione

L’idea forza deve essere specificata in modo chiaro e completo, identificando precisamente le risorse da coinvolgere. Essa non va confusa con le strategie: “sviluppare le risorse naturali di un’area a fini di valorizzazione turistica” non è un’idea forza ma semmai una (generica) enunciazione strategica.

e) L’immediata coerenza programmatica.

Già dalla sua enunciazione preliminare, l’idea forza deve possedere manifesti elementi di sostenibilità territoriale, socioeconomica ed istituzionale; apparire coerente e prefigurare sia un uso concentrato delle risorse sia la molteplicità delle fonti finanziarie necessari alla sua implementazione.

Infine, è opportuno sottolineare che il percorso metodologico descritto per l’individuazione dell’idea forza appare anche in grado di essere applicato quando si tratti di agire sulle condizioni di fattibilità dello sviluppo locale, e in particolare dove tali condizioni siano carenti oppure dove maggiormente destrutturate o rarefatte appaiano le relazioni di sistema e l’articolazione del tessuto sociale, produttivo,amministrativo. La determinazione di diversi modelli di utilizzazione e generazione di risorse per lo sviluppo dipende infatti, anche da fattori esterni di innovazione e di opportunità che siano in grado di operare per la rottura di equilibri territoriali di sottosviluppo o stagnazione, contribuendo al superamento dell’esistente.
Palermo ha già avuto esperienza concreta di applicazione di questo metodo, che è peraltro l’unico che l’Europa riconosce come pre-condizione per co-finanziare lo sviluppo, negli anni 93-97 quando l’occasione di rifondare la città condusse alla necessità di interrogarsi sulle tre fondamentali domande: chi siamo? da dove veniamo? dove possiamo andare, se lo vogliamo e dove anche volendo, non possiamo andare?
Intorno all’idea forza del risanamento definitivo del Centro Storico come motore dello sviluppo (scelta diversa, per esempio, fu fatta da Catania che, proprio in base ad una vocazione diversa, scelse come fulcro l’innovazione tecnologica) sorsero da tale impostazione nuovi atti “fondanti” della Città che le riconoscevano la dimensione plurale (Palermo città di città), la sua necessaria articolazione (Variante Generale del PRG e coerente Decentramento) la sua visibilità reticolare (le otto Municipalità, a ricomposizione della profonda trincea logistica e sociale rappresentata della Circonvallazione con specifica identità culturale ed erogazione della quasi totalità sei servizi, i corrispondenti nodi del trasporto pubblico urbano, ecc.)
Una visione della Città dunque definita, trasferita in un progetto concreto, facilmente comunicabile e condivisibile da singoli cittadini e da realtà organizzate (impresa, ordini professionali, Chiesa locale, Associazionismo, ecc) che condusse alla produzione di atti amministrativi, certamente perfettibili, ma finalmente dotati di una coerenza interna e anche per questo ampiamente premiati da un elevatissimo ammontare di risorse europee acquisite con relativa facilità (Progetto URBAN) e dei cui resti ancora Palermo, seppur agli sgoccioli, è finora sopravvissuta.
La sfida delle prossime settimane/mesi, cui ancora sembra che alcun voglia mettere mano, è allora l’individuazione di una nuova idea forza che riassuma, superi e rilanci quella precedente individuando drivers di sviluppo che devono tener conto delle mutate condizioni sociali, interculturali e generazionali della gente che a Palermo vive e opera e della complessiva situazione di recessione economica che connoterà, ci auguriamo in maniera decrescente, gli anni di mandato del prossimo Sindaco.
La vocazione di Palermo è certamente culturale, a motivo delle emergenze storico architettoniche che ne fanno una della città più visitata al mondo, sicuramente commerciale, per la natura stessa del suo essere porto non secondario del Mediterraneo sia per il nord che per il sud dello stesso, indubbiamente internazionale, per la composizione crescente di una popolazione multiculturale e multireligiosa, ormai di seconda o terza generazione.
La presenza di un’Università non secondaria tra quelle italiane, pur se in coda nelle specifiche classifiche accademiche e gravata da pesanti tagli, la compresenza del CNR, di Istituzioni storiche del Management quali ISIDA e CERISDI (di cui rivedere in un’ottica sinergica la gestione e la governance); l’esistenza di spazi vitali ancora utilizzabili quali polmoni verdi della città (Parco della Favorita, Parco Centrale, Parco d’Orleans, Parco dell’Uditore, Parco dell’ex Ospedale Psichiatrico) e di aree semi-edificate di prossima disponibilità (Fiera del Mediterraneo e Caserma Cascino) , la disponibilità di un immenso patrimonio immobiliare nel centro storico avviato verso il completo restauro e, infine ma non ultima, la più massiccia concentrazione di elevati potenziali altamente secolarizzati e specializzati, sembrano indicare l’idea forza per i prossimi cinque anni nella definizione di una Palermo metropolitana, vocata a diventare il più importante centro di produzione di economia della conoscenza (1) del sud Europa – in grado di acquisire commesse rilevanti che ben oltre l’abusato refrain del semplice turismo – prenda il posto che è stato sino a ieri di Barcellona e di Dublino, con la differenza che quelle città non poterono beneficiare di un nord africa, competitivo sul piano del costo del lavoro, oggi finalmente in grado di iniziare a immaginare il proprio futuro democratico e in cerca di partners di comune sensibilità con cui costruirlo.
Con tale percorso, la possibilità di concorrere quale Città Europea della Cultura, non sarebbe solo un evento isolato con cui giustificare improvvisate opere urgenti, ma si inserirebbe coerentemente nello sviluppo naturale di un’ identità, fedele a se stessa e consapevole del proprio, autentico, ruolo nel mondo che verrà.

Nota

 

( 1) In linea generale, possiamo parlare di economia della conoscenza ogni volta che ci troviamo di fronte ad un segmento del sistema economico in cui il valore economico (utilità per i soggetti economici) viene prodotto attraverso la conoscenza. In questi casi, il lavoro umano non trasforma la materia prima, ma – se è lavoro cognitivo – genera conoscenze innovative che, col loro impiego, saranno usate per trasformare la materia (con le macchine) e creare indirettamente utilità. Oppure potranno, in altri casi, fornire servizi utili anche senza trasformare la materia prima, ma semplicemente fornendo un’informazione, una consulenza, una comunicazione che generano direttamente utilità presso l’utilizzatore ecc..
Le utilità create dall’uso della conoscenza possono derivare da diverse forme di uso. Prima di tutto possono derivare dalla riduzione dei costi di un precedente processo produttivo (efficienza). Ma possono anche derivare dalla creazione di un nuovo prodotto o servizio, che non esisteva in precedenza, o dalla produzione – attraverso la conoscenza – di significati, desideri, identità. (Enzo Rullani)

 

Loris Sanlorenzo

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