Palazzo Oneto, da magazzino per negozi a sede di una mostra Arriva Locus Solus, «metafora delle condizioni dei giovani»

«Questa mostra non è innocua» recita un’insegna all’ingresso. Oltre di essa, l’arte nelle sue diverse forme. Pittura, fotografia, video e scultura s’incontrano infatti nei sotterranei di Palazzo Oneto di Sperlinga in Locus Solus, la mostra collettiva organizzata e promossa dall’Accademia di Belle Arti in collaborazione con Palermo Capitale della Cultura, che vede protagonisti i lavori di quindici giovanissimi del corso di Arte ambientale e linguaggi sperimentali. Aperta al pubblico da ieri, resterà in allestimento fino al 6 agosto.

Il titolo allude all’omonimo romanzo di Roussel, lo scrittore e poeta francese amato dai surrealisti che il 14 luglio 1933 fu trovato morto proprio a Palermo in una camera del Grand Hotel delle Palme. «Nei sotterranei di Palazzo Oneto – spiega la curatrice, Rosa Persico – si percepisce una grande energia. Ambienti bui che, illuminati dalla creatività dei ragazzi, si trasformano in una metafora della condizione delle nuove generazioni». Corpi, vestiti, organi che pulsano, vita, morte. Alcune ossa giacciono su un letto bianco cosparso di cenere. «È una transizione – spiega una degli artisti coinvolti, Giulia Mastellone – Mi sono ispirata alla frase di Pessoa “cosa muoio quando sono?”. La cera liquida sta a rappresentare il momento del parto, le acque che si rompono, dando forma all’uomo compiuto. Le ossa invece sono il simbolo topico della morte, la cenere e la sedia richiamano ad una veglia funebre. È entrambe le cose: vita e morte».

Protagonista l’uomo nella sua corporeità, sofferenza e introspezione. «Queste foto le ho scattate tornando a casa, nel tratto da Palermo a Selinunte – spiega invece Anna Lombardo – un paesaggio siciliano che mi tocca personalmente, un percorso intimo di riflessione nella strada verso casa».
Su una lastra di colore verde le foto: ferme e chiare al livello del suolo per poi diventare via via più sfocate ed astratte, a voler trasmettere un senso di leggerezza aerea. Le post-produzioni di Alessia Argento hanno invece per soggetto paesaggi urbani, logorati. Una donna che richiama le sembianze della Santuzza tiene in mano un cuore. Accanto due foto che richiamano il quadro “Portrait d’une négresse” di Marie-Guillemine. «Ai tempi la donna nera veniva raffigurata come una schiava – racconta Martina Campanella -, io ho deciso di rappresentarla fotograficamente come una donna fiera, una principessa». Forza e determinazione, malattia e fragilità umana.

Mentre Emanuela Albiolo immortala in modalità macro alcune foglie logorate dal tempo. «Nella vita di un essere vivente c’è sempre una ferita – spiega la giovane artista – ho voluto ricostruire con questo collage fotografico la fragilità della vita».  Stracci vuoti e vestiti calpestati nell’installazione di Cristina Blandino. E poi un passeggino con dentro oggetti naufragati, racchiusi in buste di plastica piene d’acqua, di Monia Rugeri. L’emigrazione e la malattia che mettono in mostra il dramma sociale. «Ho raccolto le radiografie buttate negli ospedali e ne ho realizzato opere d’arte – racconta Rossella Puccio – I colori che ho applicato richiamano i reagenti utilizzati per studiare le cellule». Un cuore pulsa nel suo trittico, l’essenza umana proiettata in un’opera di videoarte ottenuta da rielaborazioni di radiografie.

Con Chiara Volpe e Monia Rugeri i corpi diventano oggetti di design ironici. Federica Culotta crea un collage di corpi utilizzando involucri per la frutta e ritagli di giornale. Occhi, spalle, gambe, un capezzolo. Parti anatomiche in rilievo in un collage che sfocia nell’astratto. La pittura si ibrida con gli strappi anche nelle gouaches di Teodora Pirau. Spazio alla pittura astratta con Eleonora Arnone e Chiara Carzan.
Nell’armoniosa mescolanza di arti non manca neanche la street art, firmata da Celeste Asaro. «Mi domandavo se può definirsi astratto ciò che vedo nel reale mentre tutti guardano il display – si chiede Giuseppe Giglio di fronte ai suoi disegni iperrealisti in carboncino su legno – Mi piace ritrarre ciò che vedo, soprattutto figure umane: questo bambino l’ho conosciuto durante il progetto Danisinni, mentre il signore è un ambulante di Ballarò». Da fotografie diventano disegni in carboncino che, in un iperrealismo digitale, ritornano fotografie nell’attenta rappresentazione che Giglio fa dei pixel e dei ritardi del sensore. 

La mostra si inserisce all’interno del ciclo di eventi a cura di Marcello Carriero che vedrà esporre diversi corsi dell’Accademia di Belle Arti negli spazi di Palazzo Oneto. «Abbiamo pensato una serie di mostre riscoprendo luoghi desueti come l’ex scuderia di Palazzo Oneto di Sperlinga – spiega Carriero -, un luogo per anni inaccessibile, usato come magazzino per i negozi di via Bandiera. I proprietari del palazzo hanno offerto all’Accademia questi spazi espositivi. Il progetto vede protagonisti gli studenti con i loro lavori, in un percorso che predilige il movimento della mente all’obiettivo formale. Abbiamo avuto gli allievi di De Piazza, seguiranno De Grandi, Agnello, Grassino e Pecoraino».

Maria Vera Genchi

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