La decisione era da settimane nell’aria e alla fine è arrivata: il consiglio comunale di Pachino è stato sciolto perché oggetto di ingerenze da parte della criminalità organizzata. La misura è stata presa nel corso del Consiglio dei ministri che si è svolto giovedì pomeriggio, ma la notizia è trapelata soltanto ieri sera. Il governo ha accolto così la proposta fatta dalla commissione prefettizia che ha lavorato sei mesi all’interno del palazzo di via Bixio, a partire dalla fine di aprile 2018.
L’esigenza di passare al setaccio quanto accaduto nella politica locale ruota attorno a un nome in particolare, quello di Salvatore Giuliano, capomafia dell’omonimo clan, che vanta buoni rapporti con i Cappello di Catania e i Trigila siracusani. Giuliano – che è stato protagonista nell’ultimo anno delle cronache giudiziarie, fino al nuovo arresto della scorsa estate nell’ambito dell’operazione Araba Fenice sulle infiltrazioni mafiose nel mercato ortofrutticolo – è vicino a due consiglieri comunali: Salvatore Spataro e Massimo Agricola. Con loro, e insieme all’ex sindaco Paolo Bonaiuto, è stato coinvolto in un’inchiesta su concussione e spaccio di droga.
Ma è in particolare con Spataro che Giuliano avrebbe intrattenuto i rapporti più stretti, al punto da avere in lui, secondo gli inquirenti, un punto di riferimento all’interno del consiglio comunale. I due, a ottobre, hanno ricevuto un avviso di garanzia per un’inchiesta della Dda di Catania per associazione mafiosa. Dal canto loro, sia Spataro che Giuliano hanno più volte negato le accuse. Anche tramite i giornali. A MeridioNews, all’indomani dell’incendio che ad aprile aveva danneggiato lo stabilimento dell’azienda Fortunato, per il quale si ipotizzò un possibile collegamento con la recente espulsione dal Consorzio di tutela Igp per il pomodorino di Pachino dell’azienda La Fenice, ufficialmente del figlio di Giuliano, Gabriele, il capomafia dichiarò: «Io ancora il capomafia di Pachino? Dovrebbero venire a dirmi in questi anni in cosa ho mafiato». Spataro, invece, ha spiegato la propria vicinanza a Giuliano con l’amicizia di vecchia data e l’impegno del consigliere di accompagnare Giuliano nel percorso seguito al ritorno in libertà, avvenuto nel 2013, dopo una lunga detenzione.
Sempre Spataro, che in consiglio comunale è stato tra le file dell’opposizione, è stato toccato indirettamente da un’altra decisione della prefettura di Siracusa: il figlio, infatti, è il titolare di un bar che ha ricevuto un’interdittiva antimafia, dopo essere stato ritenuto luogo di ritrovo di diversi pregiudicati, tra i quali i fratelli Aprile, ritenuti uomini di fiducia di Giuliano, e con quest’ultimo arrestati nell’operazione Araba Fenice. Proprio nel bar, a febbraio dell’anno scorso, avvenne il tentato omicidio di uno dei tre fratelli Aprile.
Poco dopo la notizia dello scioglimento del consiglio comunale, il sindaco Roberto Bruno ha scritto una lunga nota in cui si dichiara «fiero di aver servito con lealtà e dedizione la mia città e la mia comunità». Il primo cittadino, che dovrà lasciare l’incarico ricevuto dopo la vittoria alle Amministrative del 2014 per lasciare spazio ai commissari straordinari che guideranno l’ente per 18 mesi, ritiene ingiusta la decisione del consiglio dei ministri. «Si tratta di un provvedimento ingiusto e abnorme, che danneggia l’intera città ed il suo tessuto produttivo – scrive Bruno -. Io e la mia amministrazione abbiamo sempre lavorato nell’interesse della città e della collettività, nel pieno rispetto della trasparenza e della legalità. Sciolgono un Comune per responsabilità di un consiglio comunale che era già decaduto per inadempienze e incompetenza. È evidente che si tratta di una operazione politica a opera di un governo ostile. Siamo tornati ai tempi di Crispi e del prefetto Colmayer, utilizzato per colpire politicamente le prime amministrazioni socialiste della Sicilia».
Il primo cittadino poi guarda avanti. «Leggeremo le carte attentamente e agiremo per rendere giustizia ad una squadra che ha lavorato con passione, energia e legalità – promette Bruno -. Affermo con forza che nessuno di noi è stato coinvolto in procedimenti penali: né io, né i miei assessori, né i consiglieri comunali di maggioranza che sono stati al mio fianco fino all’ultimo».
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