Operazione Xydi, l’avvocata nega ogni coinvolgimento «Non c’entro nulla con la mafia. Solo battute infelici»

«Mi sono solo occupata di vicende professionali, al massimo ho fatto delle battute infelici e quei rapporti e quegli incontri nel mio studio sono legati alla relazione col mio compagno». Si è difesa così l’avvocata di Canicattì Angela Porcello, indagata per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione antimafia Xydi, che oggi è stata interrogata per più di un’ora dal gip di Agrigento Stefano Zammuto. La nota penalista, che ha nominato come suoi difensori Salvatore Manganello e Raffaele Bonsignore, ha negato qualsiasi rapporto con il mandamento mafioso di cui l’ex compagno Giancarlo Buggea (l’imprenditore 50enne anche lui fermato, che si è avvalso della facoltà di non rispondere) sarebbe stato il capo.

La professionista ha sminuito anche l’accusa di avere trasformato il suo studio legale – in via Rosario Livatino – nel quartier generale della cosca. «Quegli incontri sono connessi ai miei incarichi professionali, Buggea incontrava in studio anche altre persone per ragioni legate alla sua azienda. Non c’entro nulla con la mafia». Porcello ha negato anche di avere custodito la cassa del mandamento mafioso, un’accusa mossa dal contenuto di una intercettazione in cui Buggea dice alla sorella del boss Giuseppe Falsone che «i soldi dei detenuti li ha Angela». Porcello ha spiegato di avere «solo gestito, come avvocato, i proventi delle mediazioni agricole dei miei assistiti». 

Un accenno anche ai rapporti con l’ispettore di polizia Filippo Pitruzzella, in servizio al commissariato di Canicattì e finito in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per avere rivelato a Porcello e Buggea informazioni riservate su indagini in corso e avere persino redatto delle relazioni di servizio strumentali contro il clan mafioso rivale dei Chiazza. «Era solo un rapporto personale – ha detto Porcello – In una circostanza mi ha messo in guardia da un collega poliziotto che si era rivolto a me per ragioni professionali. Lo riteneva pericoloso». Il riferimento, in questo caso, è all’assistente capo Giuseppe D’Andrea. Anche lui è finito in carcere con l’accusa di avere rivelato notizie riservate su un imprenditore e avere effettuato un accesso abusivo al sistema informatico per attingere informazioni amministrative legate a un’attività di scommesse in cui avrebbe avuto un interesse personale. Il poliziotto, difeso dall’avvocata Daniela Posante, ha spiegato alla gip Alessandra Vella di avere solo consultato il terminale dell’ufficio e di essersi rivolto alla penalista per ragioni professionali

Redazione

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