«Passiamo da casa, che mi cambio le scarpe se c’è da dare qualche carcagnata. Tu sai dove è la pompa? Là dobbiamo andare gli dobbiamo fare male forte». Intercettati dalle cimici degli investigatori i nuovi boss di Palermo programmano spedizioni punitive, discutono di ‘affari’. E si vantano di parentele importanti. I recenti blitz antimafia hanno decimato capi e gregari, costringendo Cosa nostra ad affidarsi a un triumvirato di quarantenni per reggere le sorti di uno dei mandamenti più potenti della città, quello di Pagliarelli.
Gente già finita in inchieste, arrestata in alcuni casi e talvolta anche assolta. «Io sto con cristani pesanti: il mio padrino è Gianni (Nicchi, ndr) in persona. Con noi non si babbia». A parlare sono Massimiliano Giuseppe Perrone, ritenuto dagli investigatori del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo, che hanno eseguito l’operazione Verbero, capo del clan Pagliarelli, e Alessandro Alessi, alla guida della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi. Sono loro insieme Vincenzo Giudice a reggere le sorti Cosa nostra a Palermo. Una guida a tre che creava, comunque, qualche problema.
«Massimo (Perrone,ndr) vuole dare ordini, ma non lo può fare – si sfoga uno degli indagati -. Lui si sente il capo dei capi. Noi qua siamo in tre. Prima di fare qualsiasi cosa ci deve chiamare e ce lo deve dire». E poi c’è l’affare droga. Mille chili di hashish in arrivo a Palermo. Un milione di guadagno da dividere. «Compare – dicono i boss – perdere cinque minuti e guadagnare mille euro. Si può fare?».
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