Trasporti, ecobonus, macellerie. Un giro da decine di aziende con diversi prestanome e almeno 50 milioni di euro, impossibile da abbandonare nonostante una nuova guerra alle porte. È il quadro interno alla famiglia di Cosa nostra catanese Santapaola-Ercolano tratteggiata dall’operazione Caronte che all’alba ha portato all’arresto di 23 persone tra esponenti mafiosi e imprenditori. Con la partecipazione di due politici di spicco – Raffaele Lombardo e Giovanni Cristaudo – già condannati per concorso esterno alla mafia. «Guerra vuoi? E guerra avrai», si sente dire in un’intercettazione. Sullo sfondo della delicata riunione a base simboli e strategie criminali, la voce di un bambino che gioca: «Au! Non pozzu curriri iu».
Tutto comincia alla fine del 2009 quando è evidente la conflittualità tra la famiglia Santapaola-Ercolano e il clan Carateddi, intenzionata a scalare i vertici di Cosa nostra catanese. «Non è che pensiamo a farci la guerra contro lo Stato… Non è che tutti ci chiudiamo e i vaddia i capputtassimu, quante siamo in tutte le famiglie?». È racchiuso in queste parole il pensiero di una parte dell’associazione che a una guerra fratricida – costosa in termini di denaro e uomini – avrebbe preferito unire le forze contro lo Stato. Secondo la filosofia di pensiero di «quel povero zoppo», Luciano Liggio, la primula rossa di Corleone: «Aveva ragione quando diceva “Io ho più soldi e forza dello Stato, ora gli faccio un colpo di Stato”».
E l’ex boss non è l’unico mito mafioso citato nelle conversazioni. Un posto d’onore lo occupa infatti Benedetto Santapaola, un simbolo impossibile da soppiantare: «Le cose non possono cambiare, la storia è storia, qua si sta parlando di un simbolo che non vogliono loro che scompare. Le gerarchie ci sono ancora e non può essere».
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