Cronaca

Operazione antimafia nell’Agrigentino: affari nell’azzardo e nella vendita dell’uva

Associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione e incendio. Sono questi i reati contestati nell’ambito dell’operazione antimafia Condor che ha portato all’esecuzione di undici misure cautelari tra Licata, Palma di Montechiaro, Canicattì e tutta la parte orientale dell’Agrigentino. Nell’operazione, partita all’alba di questa mattina, sono impegnati oltre cento carabinieri del comando provinciale di Agrigento e del Ros di Palermo che stanno eseguendo le misure cautelari emesse dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palermo. In corso anche l’esecuzione di una ventina di perquisizioni.

L’inchiesta antimafia Condor, coordinata dal procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia Paolo Guido e dal pubblico ministero Claudio Camilleri, scaturisce dalle convergenze investigative del blitz Xydi del 2 febbraio del 2021. Allora, il Ros – che strinse il cerchio sull’ultima rete di fiancheggiatori del boss Matteo Messina Denaro – eseguì 23 fermi. Tra gli arrestati anche due poliziotti e l’avvocata penalista Angela Porcello, che avrebbe trasformato il suo studio legale di Canicattì nel quartier generale del mandamento di Cosa nostra veicolando all’esterno i messaggi del boss Giuseppe Falsone. Il 6 dicembre, il gup del tribunale di Palermo Paolo Magro si è pronunciato sugli imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Fra gli altri è stata condannata a 15 anni e quattro mesi di reclusione proprio l’ex penalista, cancellata dall’albo dopo l’arresto. Venti anni sono stati inflitti, invece, all’imprenditore mafioso Giancarlo Buggea di Campobello di Licata, ex compagno di Porcello. In tutto ci sono state 15 condanne e cinque assoluzioni.

I provvedimenti disposti oggi dal gip sono cinque misure cautelari in carcere, quattro ai domiciliari e un obbligo di dimora. Eseguite anche 23 perquisizioni personali e locali (di cui tre in carcere) nei confronti dei destinatari delle misure. Le indagini hanno consentito di fare luce sugli assetti mafiosi nel territorio di Favara e in quello di Palma di Montechiaro, quest’ultimo caratterizzato – come accertato da sentenze definitive – dalla convivenza della articolazione territoriale di Cosa nostra e di formazioni criminali denominate paracchi sul modello della Stidda. In questo contesto, i carabinieri hanno raccolto indizi sul tentativo di uno degli indagati di espandere la propria influenza al di là del territorio palmese, ossia su Favara e sul Villaggio Mosè di Agrigento. Evidenze sono emerse anche sul ruolo di garante esercitato dal vertice della famiglia di Palma di Montechiaro a favore di un esponente della Stidda, al cospetto dell’allora reggente del mandamento di Canicattì. Raccolti indizi pure sul controllo delle attività economiche nel territorio di Palma di Montechiaro, con riferimento al settore degli apparecchi da gioco e delle mediazioni per la vendita dell’uva (le cosiddette sensalie); di messe a posto a Favara e danneggiamenti a mezzo incendio.

A carico di alcuni degli indagati sono stati acquisiti gravi indizi sull’interferenza esercitata da Cosa nostra sul lucroso settore economico delle transazioni per la vendita di uva e la progressiva ingerenza in questo comparto da parte della Stidda. In questo ambito sono emersi rapporti del vertice della famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro con la ‘ndrina calabrese dei Barbaro di Platì. L’inchiesta ha portato alla luce anche il controllo illecito di una grossa parte del settore imprenditoriale delle slot machines e degli apparecchi da gioco installati nei locali commerciali. E anche le estorsioni in danno di un imprenditore costretto ad astenersi dalla partecipazione a un’asta giudiziaria finalizzata alla vendita di alcuni terreni; la tentata estorsione in danno di un altro imprenditore del settore della distribuzione e gestione di congegni e apparecchi elettronici; la gestione di un impianto di pesatura dell’uva, i cui proventi sarebbero stati in parte destinati al mantenimento dei detenuti. Ed ancora è stata ricostruita l’estorsione – consistita nell’imposizione dell’assunzione di uno degli stessi indagati – ai danni di un’impresa aggiudicataria di lavori a Ravanusa e l’incendio ai danni del titolare di un’autodemolizione con deposito giudiziario.

Redazione

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