Mentre le televisioni e i giornali dAmerica sono tutti concentrati sullItalia e le dimissioni di Berlusconi perché anche qui si sono resi conto che se fallissse lItalia crollerebbe non solo leuro ma leconomia globale, alle Nazioni Unite da martedí si reagiva al rapporto degli ispettori dellAgenzia Internazionale per lEnergia Atomica che accusa lIran, per la prima volta esplicitamente, di voler costruire la bomba atomica.
A far notizia allOnu, più che il rapporto che svelava la corsa allarma atomica iraniana, è stato latteggiamento molto prudente con cui gli Stati Uniti hanno accolto il rapporto dellAiea, un silenzio che è stato giustificato dalla Casa Bianca con il tempo necessario per studiare accuratamente il rapporto, anche se nessuno, allinterno del Palazzo di Vetro, nutriva alcun dubbio sul fatto che lamministrazione Obama sapesse già da tempo i contenuti principali del rapporto degli ispettori dellOnu.
Quello che lAiea ha ufficializzato in oltre mille pagine è gravissimo: praticamente, si afferma che lIran avrebbe sperimentato attraverso dei programmi al computer dei diversi modelli di esplosione nucleare, avrebbe già condotto esperimenti su diversi tipi di detonatori nucleari e avrebbe condotto ricerche avanzate su testate nucleari in grado di essere lanciate su missili a medio raggio.
A dare credibilità al rapporto, come affermava un editoriale apparso sul New York Times, sono le meticolose fonti su cui si basa. Il direttore dellagenzia nucleare dellOnu, il giapponese Yukiva Amano, ha messo la sua firma ad un rapporto che ha ricevuto lassistenza di dieci agenzie specializzate di altrettanti paesi membri dellOnu e che ha intervistato diversi individui che sono stati coinvolti in attività rilevanti in Iran.
Insomma il rapporto consegnato da Amano a tutti i membri del Consiglio di Sicurezza, dovrebbe sulla carta spazzare ogni dubbio: lIran non starebbe più perseguendo la ricerca atomica solo per il raggiungimento di fonti denergia consentita dai trattati, ma starebbe cercando di dotarsi di un armamento nucleare trasgredendo cosí il trattato di non proliferazione nucleare.
Quindi le parti adesso si sarebbero invertite: proprio quellagenzia dellOnu che gestisce il controllo di come viene utilizzata lenergia nucleare e che otto anni fa era stata critica delle conclusioni che lamministrazione Bush presentò sullIraq di Saddam Hussein, cercando allora di frenare le accuse di Washington che Baghdad volesse giungere allarmamento nucleare, questa volta sullIran sembra invece scavalcare lamministrazione Obama e i suoi alleati, affermando che il regime iraniano si sta pericolosamente avvicinando a dotarsi di armamenti nucleare.
Come era prevedible, Teheran ha subito denunciato le conclusione dellaagenzia dellOnu come parte di un ennesimo complotto americano, dopo quello della presunta preparazione di un attentato terroristico contro lambasciatore saudita a Washington, e ha anche minacciato il capo degli ispettori nucleari dellOnu Amano, affermando in una nota che si pentirà di essersi fatto strumento di questo complotto. Il governo di Amhedinejad ha ribadito che nessuno potrà fermare il diritto dellIran di acquisire fonti di energia nucleare avvertendo che qualunque intervento militare contro le centrali iraniane provocherà una terribile ritorsione.
Ma infatti non è la possibilitá dellintervento militare che sembra essere in questo momento al centro delle discussioni tra i Paesi che più vogliono fermare le ambizioni nucleari di Theran. Lo stesso New York Times ha messo in guardia la Casa Bianca e, soprattutto, Israele dalloptare per un intervento militare che avrebbe effetti devastanti e imprevedibili sulla regione e che, inoltre, viene giudicato non in grado di poter fermare la rincorsa alla bomba atomica di Teheran. Sarebbe invece linasprimento delle sanzioni internazionali lunica soluzione valida, e come il maggiore quotidiano americano la pensa anche uno dei Paesi chiave nel Consiglio di Sicurezza, la Francia di Sarkozy che, attraverso il suo ministro degli esteri Juppé, ha fatto sapere che lopzione militare è assolutamente da escludere e che Parigi vuole che il Consiglio di Sicurezza si riunisca al più presto possibile per votare nuove e più efficaci sanzioni contro lIran.
Ma gli ostacoli principali al perseguimento della strategia delle sanzioni, che sembra trovare daccordo anche lamministrazione Obama, restano due: latteggiamento al Consiglio di Sicurezza della Cina (che ha reagito al rapporto dicendo che prima di dire la sua lo studierà con attenzione) e, soprattutto, della Russia, che ha invece subito fatto sapere che non ritiene opportuno linansprimento di nuove sanzioni attraverso il Consiglio di Sicurezza e che in questa mossa ci vede solo il solito tentativo di regime change, di cambiamento di regime a Theran.
Per capire il vento contrario che tira al Consiglio di Sicurezza dellOnu in questi giorni, è bastato osservare il dibattito aperto che si è avuto mercoledí intitolato La protezione dei civili durante i conflitti armati, un dibattito durato oltre dieci ore e che ha visto gli interventi di esponenti di tanti altri Paesi oltre a quelli dei quindici che compongono il Consiglio di Sicurezza.
Di solito, i dibattiti tematici al Consiglio di Sicurezza si risolvono in attività simboliche in cui ogni Paese esprime generiche volontà di voler sostenere la pace e la stabilità mondiale, ma in questo caso, con lintervento militare in Libia appena concluso e la prospettiva di un altro intervento in Siria, il dibattito nel Consiglio di Sicurezza sul diritto dellOnu di proteggere i civili dai proprio governi è diventato politico e ha visto la reazione di molti paesi che ritengono che lintervento della Nato sponsorizzato dallOnu in Libia sia andato ben oltre le intenzioni delle risoluzioni 1970 e 1973.
Oltre a Russia e Cina, altri Paesi importanti membri del Consiglio di Sicurezza, come India e Brasile e poi anche il Sud Africa, hanno manifestato il loro disappunto per il modo in cui è stato condotto lintervento in Libia, giudicandolo ben oltre il suo mandato e più diretto al cosidetto regime change che alla protezione dei civili. Fino a giungere ad interventi sempre più accusatori, come quello dellambasciatore venezuelano Jeorge Valero Briceno, che ha puntato il dito contro quei Paesi occidentali che userebbero il principio della protezione di civili soltanto come una scusa per servire invece gli interessi di corporation internazionali che per i certi affari hanno bisogno di far cambiare i governi nel mondo
Insomma: da queste premesse si capisce come lattuazione delle strategia nei confronti dellIran per delle nuove sanzioni da far approvare dal Consiglio di Sicurezza sarà ardua e, soprattutto, lenta. Ma nei corridoi del Palazzo di Vetro, così come nelle pagine degli editoriali dei maggiori quotidiani statunitensi, si ritiene che un attacco aereo preventivo israeliano sia un pericolo con effetti destabilizzanti e imprevedibili, assolutamente da evitare a tutti i costi. Che fare quindi? La strada passa obbligatoriamente da Pechino e Mosca: Obama e i suoi alleati dovranno riuscire a convincere Cina e Russia a fermare ogni collaborazione con Teheran e ad accettare nuove sanzioni.
Infine, questa settimana allAssemblea generale dellOnu due giorni di dibattito sono stati dedicati allannosa questione della riforma del Consiglio di Sicurezza. Il presidente dellAssemblea generale, lambasciaotre del Qatar Nassir Abdulaziz Al-Nasser, ha auspicato che per arrivare ad una soluzione tutte le parti devono sforzarsi di portare sul tavolo nuove porposte di compromesso. Eppure nessuno crede che una riforma condivisa, dopo 18 anni di discussioni, sia più vicina. LIndia, il Brasile e il Giappone sono le più insistenti nel cercare una soluzione di quick fix, cioè un allargamento a membri permanenti a Paesi che, secondo loro, meritano questo nuovo status (e con loro cè anche la Germania che, però, negli ultimi mesi sembra aver rallentato nelle sue pretese).
LItalia resta a capo del gurppo United for consensus, cioè quei Paesi che ancora riescono a tenere in scacco i pretendenti al seggio permanente, e che invece propongono una riforma più democratica attraverso seggi elettivi, anche se con durata più lunga degli attuali due anni e con diritto di rielezione immediato. Lambasciatore italiano, Cesare Ragagliani, martedì ha pronunciato un discorso allAssemblea generale in cui denunciava il fatto che mentre il Gruppo uniti per il consenso aveva da due anni inoltrato altre proposte alternative e insomma scelto la strada del compromesso, dai Paesi pretendenti al seggio permanente non cera stata nessuna proposta nuova. Cioè lItalia accusa i pretendenti al seggio permanente di essere i soli colpevoli della situazione di stallo.
Ma alla fine nessuno crede tra gli addetti ai lavori dellOnu che questa riforma del Consiglio di Sicurezza possa arrivare in tempi rapidi, anche perché i rappresentanti dei cinque Paesi già membri permanenti del Consiglio di Sicurezza li ricordiamo sono Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna – dai loro discorsi ascoltati allAssemblea generale hanno mostrato di non avere alcuna fretta sulla necessità dellallargamento del Consiglio di Sicurezza; e questo, nonostante le promesse del Presidente Barack Obama fatte solo un anno fa durante il suo viaggio in India.
(da Radio Radicale)
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