Omicidio Sandri, condannati due assassini Libera: «Abbiamo ottenuto giustizia»

«Abbiamo ottenuto giustizia per questo fatto atroce e per Ninetta». Così Enza Rando, legale dell’associazione Libera, commenta la condanna a 18 anni e otto mesi comminata a Vincenzo Pisano e Marcello Campisi, due degli autori dell’omicidio di Pierantonio Sandri, il giovane niscemese ucciso nel settembre 1995 a soli 19 anni. Il corpo dello studente è stato ritrovato sepolto nella sughereta del Comune nisseno molti anni dopo la sua scomparsa, nel 2009, grazie all’impegno della madre Ninetta Burgio che a lungo ha chiesto che fosse fatta luce sulla sparizione del figlio.

Pisano e Campisi, all’epoca maggiorenni, si sono dichiarati spontaneamente colpevoli e condannati dal tribunale di Catania per omicidio con il riconoscimento dell’aggravante mafiosa. Pena aumentata dal giudice Oscar Biondi al termine del procedimento con rito abbreviato: l’accusa, rappresentata dal pm Raffaella Vinciguerra, aveva chiesto inizialmente 16 anni per Pisano e 14 per Campisi. Il reato di occultamento di cadavere, invece, è stato prescritto. I due hanno confermato le dichiarazioni del testimone-chiave della vicenda, Giuliano Chiavetta, anche lui reo confesso dell’assassinio ma giudicato dal tribunale dei minori e già condannato a 16 anni di carcere. Grazie alla sua deposizione è stato possibile scoprire il cadavere di Sandri sepolto nella sughereta di Niscemi e conoscere i nomi dei complici. Il quarto componente del gruppo, Salvatore Cancilleri, anche lui minorenne nel ’95, è stato assolto in primo grado.

Nei lunghi anni spesi alla ricerca di verità, Ninetta Burgio è stata affiancata da Libera che ha continuato a sostenere la sua causa anche dopo la morte della donna, nel dicembre 2011. «L’associazione e il fratello di Ninetta, Francesco, sono stati riconosciuti come parte civile – prosegue Enza Rando – È una sentenza importante perché fa luce sull’omicidio di Pierantonio e riconosce quanto è accaduto in un territorio nel quale un testimone è stato ucciso a causa di quello che forse aveva visto». Il giovane Sandri, infatti, aveva riconosciuto gli autori di un incendio intimidatorio all’auto di uno dei candidati alla corsa elettorale dell’epoca. Temendo una testimonianza scomoda, i vertici mafiosi nel territorio ne hanno deciso la sorte, affidando il compito – come spesso accadeva nel Nisseno in un periodo nel quale era in corso una spaventosa guerra tra Cosa nostra e Stidda – a dei giovani affiliati utilizzati come braccio armato. «Ninetta non c’è più – commenta con una punta di amarezza il legale – ma noi sì; vogliamo scrivere questa storia e portare avanti il ricordo del suo impegno».

Carmen Valisano

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