Ergastolo. Erano le 16.15 quando il tribunale di Catania ha emesso la sentenza per l’omicidio di Natale Pedalino, il bracciante agricolo paternese ucciso il 19 dicembre 2015 nelle campagne di contrada Cotoniera, in territorio di Paternò. Il condannato in primo grado è Giulio Arena, il docente del conservatorio di Palermo di 61 anni, accusato di avere ucciso con 75 coltellate Pedalino, 66 anni, che si occupava di curare i fondi agricoli della famiglia del suo presunto assassino.
L’omicidio, secondo l’accusa, matura nell’ambito di contrasti sulla raccolta di olive in una proprietà del padre dell’imputato. Il movente del delitto sarebbe il mancato accordo sulla divisione di dieci litri di olio. Il cadavere di Pedalino viene ritrovato dai carabinieri, tramite una telefonata anonima, sul ciglio di una strada di campagna dove era stato abbandonato. Sulle mani della vittima i segni delle ferite, a indicare che avrebbe tentato di difendersi dal suo aggressore.
Seconda la procura Arena e Pedalino si incontrano alle 16.45 circa in piazza Purgatorio, a Paternò. Da dove si spostano a bordo dell’auto dell’insegnante, un fuoristrada Subaru Forester. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, la lite nasce all’interno della vettura e degenera con l’accoltellamento, avvenuto all’esterno del veicolo.
Per gli inquirenti, determinanti per risalire al musicista sono state la testimonianza della moglie di Pedalino, che avrebbe informato le forze dell’ordine dell’appuntamento tra i due uomini, e le tracce di sangue trovate sulla vettura di proprietà dell’indagato che i Ris di Messina avrebbero ricondotto alla vittima. Macchie di sangue giustificate dalla difesa con la presenza – comunque confermata – di Pedalino nell’auto del presunto omicida.
La procura inoltre ha anche accusato Arena di avere tentato di uccidere, il 4 agosto 2014, con quattro colpi di arma da fuoco, due ambulanti la cui bancarella si trovava lungo corso del Popolo, sempre a Paternò; alla base della sparatoria, secondo gli inquirenti, una lite sull’acquisto di due angurie. Anche su questo capo d’imputazione la Corte oggi ha sposato la linea dell’accusa.
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