Non ne ho la più squallida idea

Negli ultimi anni sono di moda le raccolte di stupidari, di solito assemblate da comici o presunti tali e riguardanti categorie particolari (i calciatori, i medici e così via).
Tutto un altro discorso va fatto per il nuovo libro di Stefano Bartezzaghi “Non ne ho la più squallida idea” che contiene una serie di “frasi matte da legare” raccolte da un semiologo ed enigmista non solo con l’intento di far ridere, ma con l’obiettivo non troppo nascosto di osservare come lapsus, bucce di banana del parlato, giochi verbali, oscillazioni di senso, possano rendere il nostro rapporto con le parole un momento interessante, misterioso e pieno di sorprese. Qualcosa, insomma, che valga la pena di essere esplorato anche per i sovrasensi che apre e per la dimostrazione del potere che le parole hanno, indirizzando in un verso o in un altro la comunicazione, riuscendo a conquistarsi una vita propria in un mondo surreale fatto di uomini con capelli tagliati all’ultimo dei caimani, persone con problemi di arachidi anali, ambulanze che viaggiano a sirene spietate, personalità così opposte da trovarsi alle antilopi. Il tutto mentre l’Etna va in erezione.
Il libro contempla ogni ambito di scivolone linguistico: dai cartelli (“Usato d’oc”), ai lapsus (“Hitler poche ore prima di morire si suicidò”), dagli errori degli studenti (“i romani erano divisi in patrizi e playboy”) alle dichiarazioni di Trapattoni (“non dico uno qualunque per fare del qualunquismo”)…Solo, mi sembra, che Bartezzaghi abbia trascurato la portata del fenomeno in campo tecnologico, dove si rischiano figuracce involontarie e non previste. Di questo voglio parlarvi, dopo avervi consigliato per l’estate la lettura di “Non ne ho la più squallida idea”
Prendete, ad esempio, gli sviluppatori di applicazioni per la videoscrittura.
Sono persone all’apparenza sensibili che invece devono avere avuto una giovinezza avara di gioie. Un programma di videoscrittura come Word, come sapete, è fornito di un correttore automatico per evitare gli errori. Un povero sprovveduto lo immagina utilissimo e, invece, il correttore automatico rivela tutta la sua positività solo una volta disinnescato. Ma non illudetevi, solo gli iniziati sanno come si fa e quindi il dispositivo che non dovrebbe consentirci gli errori è ancora oggi una delle fonti di strafalcioni involontari più diffuse nel nostro mondo di comunicazioni tecnologiche. Di fronte ad una parola a lui ( e solo a lui) sconosciuta il correttore non ci pensa su due volte e prende l’iniziativa aggiustandola e portandola su territori a lui (e solo a lui) più familiari, con risultati esilaranti. Non avendo idea di cosa sia giusto o sbagliato e di quale sia la volontà dello scrittore, si limita ad interpretare. Il computer in fondo si è rivelato molto meno intelligente del più ingenuo dei giornalisti.
Chi ama la dietrologia, tuttavia, può anche intravedere una chiara volontà dell’intelligenza artificiale, come quando su “Tuttosport”, era il mio primo incontro col correttore di Word, per un intero articolo la Juventus passò da squadra bianconera a squadra banconote e la triade appariva come la tradii. Poi l’infido correttore fece capolino sulle Pagine Bianche, dove un’azienda che aveva acquistato uno spazio pubblicitario risultava ubicata non già in Chiaramonte Gulfi, ma in Chiaramente Guelfi, che, immagino, dovesse essere una scritta leggibile da un viandante medievale all’ingresso di una città filopapale, come noi oggi siamo soliti leggere città denuclearizzata. Per un po’ più niente, ma il correttore è velenoso e mi punì. Il terzo incontro avvenne a mie spese, quando in un mio articolo il pittore Guccione apparve per due volte sotto il nome (d’arte?) di Gruccione, che è, sono andato a controllare, un colorato uccello tropicale. E poco è valso a consolarmi il fatto che il gruccione abbia svolazzato su diverse pagine culturali dei quotidiani locali. Da allora è stato un fiorire di appuntamenti nei luoghi più impensabili, ma in tutti l’assassino aveva lasciato la sua firma. La tesi di laurea di un’amica il cui relatore Professor Godard si era tramutato in Professor Go kart (e in ambito accademico a certe sfumature ci si tiene), l’articolo del settimanale locale in cui l’Assessore Pelligra si trasforma in assessore Pellagra, la cronaca su internet in cui il Club Tenco composto da cantautori solitamente noiosi e chitarrosi, si trasforma nel più allegro e ballabile Club Tecno, al Centro Studi Feliciano Rossitto che diventa un più glamour centro studi Feliciano Rossetto, all’onorevole Incardona che passa ad onorevole Incardina, ai monumenti patrimonio dell’Unisco, (forse perché uniscono Modica e Ragusa?) fino al Papa Gregorio che fortunatamente è morto molti secoli prima di potersi vedere su alcuni giornali segnalato come un Papa gregario. Per esorcizzare tutto questo, fantastico un mondo ipotetico in cui Guccione dipinge un gruccione in volo, l’onorevole Incardona incardina una proposta di legge, il Professor Godard guida un go kart e l’Assessore Pelligra gode di immutabile buona salute.

Vincenzo La Monica

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