Marta Fana parla velocemente, condensa molti concetti in un torrente impetuoso di frasi. Sa che ogni volta che compare in tv le concedono «quei due minuti e mezzo, come fossi un fenomeno folcloristico, appena spunto nei talk tutti si compattano in un asse unico contro l’extraterrestre». Ricercatrice in economia presso l’Istituto di Studi Politici di Sciences Po a Parigi, si occupa di politica economica e in particolare di economia del lavoro e disuguaglianze. E’ l’autrice del saggio più venduto per il mese di ottobre: Non è lavoro, è sfruttamento, edito da Laterza e presentato lo scorso venerdì alla sede regionale della Cgil, in via Bernabei.
Già dal titolo netto si intuisce la direzione principale intrapresa dalla scrittrice, divenuta celebre dopo aver rovesciato in diretta sulla Rai le narrazioni del patron di Eataly Oscar Farinetti. Ovvero: Marta analizza in chiave marxista le riforme del lavoro degli ultimi 20 anni, che hanno portato ad alcuni paradossi che la stessa scrittrice fa notare: «Siamo la generazione più istruita nella storia d’Italia (sempre poco rispetto ai livelli europei) e allo stesso tempo siamo i più sfruttati. Lavorare oggi non è più un diritto ma un dovere, se non lo fai sei uno sfigato».
Ad ascoltare l’autrice c’erano in ordine sparso lavoratori provenienti dal mondo dei call center (Almaviva ed ex Wind-Tre), dai Cantieri Navali, dal mondo della scuola e dal settore bancario. Tutti accomunati, secondo Fana, da «un dato spesso taciuto: non si tratta solo di disoccupazione, qui il 30 per cento dei lavoratori è sotto la soglia di povertà. E lo sono anche i pensionati, che arrivano addirittura al 45 per cento, mentre sono additati dall’opinione pubblica come i privilegiati verso cui i giovani dovrebbero combattere».
E il discorso di Marta Fana si fa ancora più serrato quando smonta quelle le cosiddette narrazioni tossiche (la definizione che è stata coniata dal collettivo di scrittore Wu Ming): «Non è vero che lo Stato non interviene nell’economia, basti guardare a come ha salvato le banche e continua a regalare soldi e agevolazioni alle imprese. Non è vero che dobbiamo essere tutti imprenditori di noi stessi – continua l’autrice -. In 10 anni siamo passati dalla generazione mille euro all’alternanza scuola lavoro: se cominci a lavorare gratis quando poi ti propongono un finto tirocinio extracurriculare a 350 euro, che a tutti gli effetti è un lavoro, tu accetterai perchè comunque si tratta di un miglioramento. Col risultato che oggi un milione e mezzo di studenti lavorano gratis per 300 ore in un triennio, e le aziende prendono pure soldi pubblici per questa forma di sfruttamento legalizzato». Non sono infine mancate le critiche anche allo stesso sindacato: «Si delega sempre la risoluzione delle vertenze al Ministero dello Sviluppo Economico, ma lì la parte del leone la fa Confindustria».
La stessa Cgil, col coordinatore regionale di Democrazia e Lavoro Saverio Cipriano, ha fatto una parziale autocritica. Per poi aggiungere che «bisogna rimettere il lavoro al centro dell’agenda politica. Il lavoro è il vero assente di questa campagna elettorale». A moderare l’incontro è stato il giornalista Rai (da oltre 30 anni) Mario Azzolini, che è stato anche sindaco di San Mauro Castelverde. E che ha ricordato come lo sfruttamento esiste anche tra i giornalisti, «pagati tra i 3 e i 5 euro ad articolo. Illuderne cento per accontentarne una, questa è la politica attuale nel mondo del lavoro». E a tal proposito Azzolini racconta un aneddoto illuminante: «A uno degli scorsi corsi di formazione per la categoria era presente, tra i docenti, Enrico Mentana. I soliti convenevoli, le solite battute, poi la domanda semplice semplice che ha scioccato tutti: quanti di voi hanno il regolare contratto della categoria (il cosiddetto articolo uno)? Solo in tre hanno alzato la mano: io per la Rai, uno di Sky e uno del Giornale di Sicilia. Vuol dire che tutti gli altri erano precari, ed erano la stragrande maggioranza. Che informazione allora può esserci in questo modo?».
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