Nessuna lamentela e tanta voglia di mettersi al servizio dei cittadini nella sua Catania. Sono soltanto due degli obiettivi del vicequestore aggiunto Antonino Ciavola, nuovo dirigente dell’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della polizia di Catania. Un ruolo assunto dopo avere diretto la Squadra mobile a Caltanissetta, Enna e Ragusa. Ed è proprio in quest’ultimo territorio che Ciavola si è distinto nelle indagini per l’omicidio di Loris Stival, il bambino di otto anni strangolato con delle fascette di plastica il 29 novembre del 2014 nella casa di famiglia a Santa Croce Camerina. Un infanticidio per cui è stata condannata la madre Veronica Panarello. Ricordi indelebili che non possono sfuggire osservando le targhe esposte nella stanza del funzionario di polizia. Insieme a una foto in prima pagina sulla rivista Polizia moderna, dove Ciavola viene immortalato durante uno sbarco di migranti.
Possiamo fare un resoconto sulle prime settimane a Catania?
«Dirigere un ufficio di polizia così è entusiasmante, perché significa occuparsi del controllo del territorio in una città complessa sotto tanti punti di vista. C’è, per esempio, il nodo del turismo e della sicurezza di coloro che decidono di visitare Catania. Per un catanese, come me, significa avere una doppia o tripla responsabilità. E non è solo quella delle Istituzioni, perché siamo chiamati a servire il nostro Paese. C’è anche la volontà di dare quella sicurezza che auspichiamo come cittadini. Negli uffici, tra i poliziotti, ho trovato molto entusiasmo. Questa è una cosa bella perché si respira un’aria positiva».
Catania ha tanti nodi al pettine sul fronte della sicurezza ma è anche vero che spesso emergono le difficoltà operative legate all’insufficienza di agenti. Cosa ne pensa?
«Uno degli obiettivi, forse prioritario, è l’implementazione della sicurezza del territorio. Io sono qui perché il nostro questore sa bene quanto io tenga alla città. Come uomo e poliziotto non amo lamentarmi. Non sono stato abituato a farlo e devo dire che porta veramente a poco, pertanto credo sia necessario avere poliziotti motivati e io ho sempre avuto questa opportunità».
Com’è organizzato il lavoro delle Volanti della polizia?
«La città è divisa in tre settori: uno coperto dai carabinieri e due dalla polizia. Non abbiamo sempre le stesse aree ma c’è una rotazione ogni 24 ore. Per questo motivo, delle volte arrivano i carabinieri e altre la polizia. Mediamente abbiamo una decina di equipaggi, escludendo alcune tipologie come le squadre cinofili o gli artificieri. Mentre le moto Volanti operano dalle 8 alle 24. La priorità è il cittadino con le sue necessità. Il mio ufficio vive di emergenze ogni giorno. L’obiettivo è dare risposte immediate anche se, certe volte, ci sono dei tempi d’intervento che possono non essere compresi. Ci sono casi in cui abbiamo interventi freddi dove il reato è stato già consumato e, quindi, ci sono altri fatti che diventano prioritari. Catania richiede sempre un maggiore controllo del territorio. Per fortuna il micro crimine è in calo rispetto al passato. Una volta avevamo 15 scippi al giorno mentre adesso, dopo quasi due mesi dal mio insediamento, ne abbiamo registrati soltanto due. Chi dice che la città è più pericolosa, a mio avviso, sta solo facendo del male gratuito, dovrebbe solo collaborare con noi. Oggi qualsiasi cosa viene enfatizzata anche se si tratta di problemi risolvibili, pure in maniera banale. Ci occupiamo anche del traffico, perché per esempio c’è un’emergenza di ordine pubblico per l’ingresso all’ospedale Policlinico, ma pure di furti di auto o di parti delle stesse».
Nel vocabolario locale è entrato il termine satanizzazione per indicare i continui furti di pezzi e ricambi auto. Un’emergenza o solo un fenomeno che c’è sempre stato ma che adesso viene enfatizzato attraverso i social?
«Il mercato dei pezzi è in flessione rispetto al passato, nonostante sia ancora assolutamente in auge. Questo perché esiste un mercato parallelo di chi cerca i ricambi a buon prezzo. Marketplace di Facebook, ma anche portali come subito.it, ci danno uno spaccato di come funziona il mercato, rendendolo per noi ancora più difficile da controllare. Prima i ricettatori erano facili da individuare, perché si trattava di due o tre sfasciacarrozze. Noi andavamo, facevamo dei controlli e riuscivamo a indicarli. Su internet è molto più difficile perché ci sono ricettatori che si limitano a piccole disponibilità di pezzi di ricambio, nonostante ci siano ancora dei professionisti. Il fatto che Catania sia tra le prime città d’Italia per furti d’auto è indice comunque del fatto che vi siano delle organizzazioni ben strutturate, che riescono a vendere questi pezzi».
Lo spaccio non è più un’emergenza ma un fenomeno che da anni, nonostante centinaia di blitz, interessa la città. Perché non si riesce ad arginare?
«Il crack è la principale emergenza su Catania. Le piazze di spaccio sono difficili da bloccare perché, oltre alla domanda, c’è un offerta di posti di lavoro. Con ragazzi che, non avendo voglia di trovare una mansione vera e propria, riescono a impegnarsi come sentinelle o altro. Questo fa gola a chi non ha molta voglia di lavorare onestamente».
Nella sua vita non c’è solo il lavoro e gli affetti ma anche una intensa devozione per Sant’Agata. Come si è avvicinato a questo mondo che, spesso e volentieri, mischia sacro e profano?
«Non indosso il sacco ma sono devoto di Sant’Agata per molteplici intimi motivi e poi perché sono legato alla città in maniera viscerale e Lei ci protegge sempre. Ho conosciuto la festa quando ero volontario della Croce Rossa durante il periodo dell’università. La festa è particolare perché si è tutti uguali, c’è una sorta di livellamento generale, si è tutti li per Lei, per Agata. Tuttavia a Catania servirebbe più amore da parte dei suoi cittadini. La città è molto apprezzata da chi viene da fuori. Ho deciso di voler entrare in polizia da ragazzino, quando ho realizzato che Catania fosse dominata dalla criminalità, in quel momento ho capito di volere essere diverso dal resto e ho sempre odiato le sopraffazioni».
C’è un momento indimenticabile della sua carriera da poliziotto?
«Il momento più bello della mia carriera fino a questo momento? Quando ti rendi conto di avere donato la libertà a una persona afflitta da un reato. Liberare dalle ingiustizie le vittime o i loro familiari, questo è il senso del nostro lavoro. Il pensiero va ai familiari di chi viene ucciso, avere reso loro giustizia è la nostra mission».
Il peggiore?
«Avere visto bambini e persone di ogni età giungere cadaveri nel nostro Paese, morire per un sogno chiamato Europa non è accettabile. Spesso mi vengono in mente i loro occhi semichiusi».
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