La lapide di via Giuseppe Fava è firmata “gli studenti di Catania”. C’è scritto che la mafia ha ucciso chi con coraggio l’ha combattuta e ne ha denunciato le connivenze col potere politico ed economico. Parole che oggi sono una verità giudiziaria, confermata da una sentenza definitiva. Ma che, per molti anni, hanno fatto a pugni con le versioni ufficiali, versioni che a lungo hanno escluso la matrice mafiosa dell’omicidio. Da venticinque anni, ogni cinque gennaio, si ricorda Giuseppe Fava incontrandosi sotto quella lapide. È accaduto anche quest’anno, alla presenza dei familiari e di alcuni cittadini. Dopo quest’appuntamento bagnato dalla pioggia, le manifestazioni sono proseguite con un incontro tenutosi al centro Zo di viale Africa, dove la fondazione intitolata al giornalista ucciso ha conferito a Carlo Lucarelli il premio Giuseppe Fava. Un premio che porta come titolo “Nient’altro che la verità” e che viene assegnato da tre anni a giornalisti o scrittori che si distinguono per le loro inchieste e le loro battaglie per un’informazione libera. L’incontro è iniziato con la domanda, posta da Claudio Fava, su ciò che è cambiato e ciò che è rimasto uguale, a venticinque anni di distanza, a Catania e in Italia. Una domanda alla quale hanno cercato di rispondere tre ospiti: oltre a Lucarelli erano infatti presente il giornalista Pino Maniaci, che denuncia la mafia anche attraverso l’ironia dai microfoni di Telejato; e il presidente della Fnsi Roberto Natale.
Cos’è cambiato rispetto a venticinque anni fa?
“In questa città venticinque anni fa venne censurato il necrologio in cui si ricordava Fava perché si usava la parola Mafia. Anni dopo l’editore che ci censurò è ancora al suo posto, apprezzato e riverito da una parte della città.” Così Claudio Fava apre il dibattito, riflettendo sui reali cambiamenti di Catania dal 1984 ad oggi. Ancora: “gli stessi giornalisti di allora oggi scrivono nello stesso identico modo, con un senso di impunità culturale che ci lascia sgomenti. Venticinque anni fa comandava Nitto Santapaola sugli uomini e le cose, ora comandano i figli. Stanno al 41bis, e da lì arrivano le letterine che vengono pubblicate senza un rigo di commento sulle pagine del quotidiano della nostra città”.
Pessimismo e ottimismo
Se nella premessa di Claudio Fava era implicita la risposta che in venticinque anni dall’assassinio di Fava è cambiato assai poco, nelle risposte dei suoi interlocutori è prevalso invece il riferimento ai fattori di mutamento che oggi impongono a chi fa informazione compiti nuovi. “Essere presidente del sindacato dei giornalisti è una carica elettiva. Ed io sono qui in veste ufficiale – ha sottolineato Roberto Natale – sono qui a nome quanto meno della maggioranza dei giornalisti italiani per dare il senso di una battaglia aperta sulla libertà di informazione”. Riferendosi a Roberto Saviano, Carlo Lucarelli dal canto suo ha risposto: “Molte cose sono uguali, se ancor oggi uno scrittore può essere minacciato di morte per quello che scrive. Ma esiste un’attenzione nuova da parte dei giovani e noi dobbiamo essere in grado di interpretarla adeguando il nostro linguaggio, rinnovando la nostra capacità di raccontare, cogliendo le opportunità offerte dai nuovi media”.
W lo yo-yo
Lucarelli si serve di un particolare episodio per sottolineare come spesso sono discutibili le scelte dei media nazionali riguardo la notiziabilità di un evento. Racconta lo scrittore: “Viene un sacco di gente a Casalecchio, dove facciamo una manifestazione. Rompiamo le scatole affinché la stampa venga da noi. Finalmente viene il tg1 e mandano una troupe a fare un servizio sul campionato mondiale di yo-yo. E’ l’accostamento che non va, quando c’è lo yo-yo e la mafia devi un attimo chiederti a cosa devi dar voce”. Poi, in un intervento successivo, sottolinea come il paese sia cambiato “pochissimo molto” e aggiunge che “siamo noi a dover cambiare. Esiste un consumo critico anche a livello intellettuale, noi dobbiamo tracciare una linea netta e attenerci ad essa.”
Grossi problemi
“Mancano dei punti di riferimento. Se a qualcuno che fa semplicemente quello che ogni siciliano onesto dovrebbe fare bruciano la macchina, se lo prendono a percosse per strada, gli bucano le gomme, gli sparano ai vetri dell’autovettura e diventa un eroe, abbiamo dei grossi problemi”. Esordisce così Pino Maniaci, direttore di Telajato. Poco dopo c’è spazio per una descrizione della piccola realtà della televisione da lui diretta, ovviamente fatta alla sua maniera. ”Sono venute le televisioni di tutto il mondo per capire come a Telejato si possa fare una televisione in due stanze e in un grande bagno, perché la cosa più grande che abbiamo è il bagno…” continua, ironizzando sugli effetti dalla paura. “Non facciamo altro che l’ufficio anagrafe con le mappe dei mafiosi del nostro comprensorio”.
Tanti Giuseppe Fava
“Mi piacerebbe assomigliare a Giuseppe Fava. Mi piacerebbe che in tutte le città d’Italia ci fossero tanti Giuseppe Fava. Per certi intellettuali come lui dovremmo avere una forma di tenerezza, proteggerli quando sono in vita e ricordarli quando sono morti. Sono felice di accostare il mio nome al suo.” Queste le parole con le quali Carlo Lucarelli riceve il premio in onore del giornalista ucciso. Premio intitolato “Nient’altro che la verità”.
Finito l’incontro al centro Zo ne è cominciato un altro alla parrocchia di San Pietro e Paolo, sede del movimento Cittainsieme. Anche questo nel nome di Fava, ma con un programma dedicato alle nuove realtà dell’informazione, cartacea e telematica, della città.
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