Il quotidiano La Sicilia ha pubblicato ieri a pagina 37 una lettera di Vincenzo Santapaola, 38 anni, figlio maggiore del boss catanese Nitto Il pluripregiudicato, detenuto al 41 bis in un carcere del nord Italia, si lamenta dalle colonne del giornale delle troppe chiacchiere sul suo cognome: “C’è gente che con pregiudizio mi giudica e mi considera in base a ciò che si è detto e scritto su di me, additandomi come un criminale…. C’è gente che crea leggende sul mio conto e sui miei familiari. Ci sono altri che usano il mio nome in modo scellerato per i loro loschi interessi, per vanto, per ignoranza. Questi ultimi sono quelli che più mi danneggiano e che contribuiscono in modo determinante a far sì che il «mito Santapaola» resti sempre in vita mio malgrado”. Non solo. L’estensore della missiva teme che questa “cattiva nomina” offuschi la mente di chi sarà chiamato a giudicarlo: “Assieme ai miei avvocati ho affrontato innumerevoli battaglie per cercare di dimostrare la mia innocenza, qualcuna l’ho vinta, qualche altra no. Purtroppo lottare contro i pregiudizi è difficile, mi viene da pensare al mitico Don Chisciotte contro i mulini a vento”.
La lettera continua con un dettagliato resoconto di un fatto avvenuto nel carcere di Piazza Lanza: “Mi trovo indagato perché nel corso di alcuni colloqui, intercettati nel carcere di Catania, un detenuto parla di un tale «Enzuccio» (che l’Autorità giudiziaria ha ritenuto essere la mia persona) e raccomanda a un congiunto di prendere contatto con lui (incidentalmente osservo che, anche a concedere che i due parlino di me, tale incontro, come provato in atti, non è mai avvenuto)”. Secondo Santapaola junior questi “ignoti personaggi” usano il suo cognome come etichetta per i loro subdoli scopi. Proprio questo appare il nucleo centrale della comunicazione del figlio del boss: far sapere che lui con quelli che hanno speso indebitamente il suo nome non c’entra niente: “Chiedo di essere giudicato soltanto per le parole e le azioni che sono a me direttamente conducibili, parole e azioni che non hanno nulla di illecito”.
Al giornale cittadino il 38enne detenuto in regime di massima sicurezza consegna anche un altro desiderio: essere considerato un uomo qualunque, una “persona normale”. Anni fa il maggiore dei figli di Benedetto detto Nitto fu condannato a morte (scampando fortunosamente all’esecuzione) dal boss Vito Vitale durante la faida tra cosche palermitani e catanesi. Il primo arresto Santapaola lo subì a ventitrè anni, insieme al fratello minore Francesco, ma il Tribunale del Riesame l’anno seguente ordinò la scarcerazione per entrambi. Nel 1993, nell’ambito dell’operazione Orsa Maggiore 2, fu raggiunto da un altro mandato di custodia cautelare ma si rese irreperibile. Venne nuovamente catturato il 14 gennaio 1994 e dopo tre anni è stato rimesso in libertà. Stop and go anche nel 2006. Ora è in attesa di processo.
Certo, per ascriverlo alla gente comune, chi ha un po’ di memoria deve fare uno sforzo notevole. Vincenzo – detto Enzo – infatti, non è solo il figlio di un boss che porta suo malgrado un cognome vilipeso. È stato arrestato l’ultima volta il 3 dicembre del 2007 nel corso dell’operazione Plutone, che portò in carcere 70 persone, accusate di associazione mafiosa, rapine, traffico di droga ed estorsioni: i magistrati ipotizzarono che Enzo stesse riorganizzando il clan catanese, sfilacciato dopo l’arresto del padre (che tuttora sconta l’ergastolo).
Aggiornamento: Il Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) sta indagando “per verificare con quali modalità sia stato possibile che la lettera di una persona detenuta al 41 bis sia stata pubblicata sul quotidiano”. Lo abbiamo letto a pag. 32 del quotidiano stesso. Il direttore fa sapere che la missiva è stata consegnata dai due legati di Santapaola junior, Francesco e Giuseppe Strano Tagliareni (r.m.)
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