Nel 2017 la crescita economica in Sicilia è rallentata «Isola perderà oltre un milione di abitanti in 50 anni»

Una terra con oltre un milione e 140mila persone in meno, delle quali 70mila partite per cercare una migliore vita altrove. È come la Svimez – l’agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno – immagina la Sicilia nel 2065. Il dato è contenuto nelle anticipazioni del rapporto 2018 presentato questa mattina a Roma. Ancora una volta l’Isola si trova nelle posizioni più difficili di un’area, quella Meridionale, tra le più lente a reagire alla fine della crisi economica. Il tutto in un momento storico in cui non è possibile escludere una nuova fase di incertezza a livello mondiale, come conseguenza delle politiche protezioniste annunciate da molti, a partire dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che da mesi ha alzato la tensione con l’Ue in materia di dazi

«La
Sicilia fa segnare un rallentamento della crescita (+0,4%
nel 2017), dopo aver registrato un aumento del Pil dell’1% nel 2016 e
dello 0,9% nel 2015
– si legge nel documento -. Nell’Isola l’industria in senso stretto fa segnare nel
triennio di ripresa una performance importante (+14,1%), anche
l’agricoltura fa registrare un andamento complessivamente positivo (+2%)
e così i servizi (+1,6%). A frenare l’andamento dell’economia siciliana è il settore delle costruzioni che fa segnare il -6,3%
nel periodo 2015-2017». La crescita della Sicilia è decisamente più ridotta rispetto al Mezzogiorno nel suo complesso, dove il dato della crescita è stato nel 2017 dell’1,4 per cento, quasi uguale a quello del Centro-Nord (1,5%). Ciò però non deve fare illudere in merito a una riduzione dello scarto tra Nord e Sud. «Dopo sette anni di recessione (2008- 2014), l’economia delle regioni meridionali, malgrado un triennio di crescita consolidata, sconta un forte ritardo non solo dal resto dell’Europa ma anche dal resto del Paese: il prodotto è ancora inferiore del 10 per cento rispetto al 2007, un recupero inferiore a oltre la metà di quello registrato nel Centro-Nord».

Le difficoltà, però, non emergono soltanto in termini legati strettamente alla ricchezza. Ed è la stessa Svimez a sottolineare come siano diversi gli aspetti che testimoniano la situazione. A partire dalla sanità. «L’intero comparto sanitario presenta differenziali in termini di
prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale come
dimostra la griglia dei livelli essenziali di assistenza nelle regioni
sottoposte a piano di rientro
: Molise, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania,
sia pur con un recupero negli ultimi anni, risultano ancora inadempienti su
alcuni obiettivi fissati», spiegano i ricercatori. Ciò fa sì che le persone lascino la Sicilia non solo per cercare lavoro, ma anche per curarsi. «I dati sulla mobilità ospedaliera interregionale
testimoniano le carenze del sistema sanitario meridionale
, soprattutto in
alcuni specifici campi di specializzazione, e la lunghezza dei tempi di
attesa per i ricoveri – si legge ancora nella presentazione del rapporto -. Le regioni che mostrano i maggiori flussi di
emigrazione sono Calabria, Campania e Sicilia,
mentre attraggono malati
soprattutto la Lombardia e l’Emilia Romagna». Guardando al Meridione nel suo complesso, a emigrare sono soprattutto individui in età lavorativa, soprattutto quelli tra i 25 e i 29 anni, seguiti dalla fascia tra i 30 e i 34 anni. Un quinto di loro è laureato. «Il processo di perdita di capitale umano verso il Nord e verso l’estero è
continuato inesorabile e ha provocato un grave depauperamento della struttura
demografica e del tessuto sociale», rimarcano i ricercatori, che non mancano di evidenziare come la futura riduzione della popolazione sarà frutto anche della livello molto basso della natalità. 

E così se dal turismo arrivano note liete, complice la situazione di instabilità nel Mediterraneo che ha spinto molti a scegliere il Meridione come luogo dove trascorrere le vacanze, la vita al Sud rimane un rompicapo. «Ancora oggi al cittadino mancano (o sono carenti) diritti
fondamentali
: in termini di vivibilità dell’ambiente locale, di sicurezza, di adeguati
standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e
per l’infanzia. Si tratta di carenze di servizi – specifica la Svimez – che
si riflettono sulla vita dei cittadini e
che condizionano decisamente anche le prospettive di crescita economica
, perché
diventano fattori che giocano un ruolo non accessorio nel determinare l’attrazione di
nuove iniziative imprenditoriali».

Simone Olivelli

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