Nel 2015 via in 62mila dal Sud, uno su 5 ha una laurea Rapporto Svimez: «Pil in Sicilia cresce con agricoltura»

Prosegue il calo della popolazione nel Sud d’Italia, che è sempre più a rischio desertificazione, un emigrato su cinque ha una laurea in tasca. La buona notizia è che nel 2015 si registra una crescita del prodotto interno lordo nelle regioni meridionali dopo sette anni con segno meno. Sono alcuni dei dati del rapporto 2016 dello Svimez (l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), presentato stamani. 

Nel 2015 in Italia sono nati poco meno di 486mila bambini, il 3,3 per cento in meno rispetto all’anno precedente (-13 mila unità nel Centro-Nord e -4 mila nel Mezzogiorno). È un nuovo minimo storico, dopo quello del 2014 con 503mila nati. E il calo è più evidente a Sud: nel 2015 la popolazione meridionale è diminuita di circa 62mila unità, dopo la perdita di 21mila unità nel 2014 e 31mila nel 2013. Causa delle migrazioni verso il Centro-Nord o l’estero e per il calo delle nascite. In totale, fa i conti lo Svimez, negli ultimi venti anni il Sud ha perso 1 milione e 113 mila persone, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Ma non solo, ad andarsene sono anche i piccolissimi: duemila bambini compresi tra zero e quattro anni nel 2015 si sono trasferiti con i genitori. Le regioni con il saldo migratorio più alto sono la Campania (32 mila unità), la Sicilia (23 mila unità), la Puglia (19 mila unità) e la Calabria (13 mila unità). Guardando al futuro, sulla base delle stime Istat, al Sud vivranno molte meno persone, a favore delle regioni del Centro Nord: entro il 2065 il Meridione perderà circa 4,2 milioni di abitanti, mentre il Centro-Nord ne guadagnerà 4,5 milioni.

A lasciare il Sud sono ancora i soggetti più qualificati e dinamici: uno su cinque (circa il 20 per cento, ovvero 24mila) ha una laurea. E crescono i giovani Neet, quelli che non studiano e non lavorano: in Italia nel 2015 sono stati 3 milioni 421 mila, con un aumento rispetto al 2008 di circa 621 mila unità (+22,2 per cento). Di questi, quasi 2 milioni sono donne (56 per cento) e quasi 1,9 milioni sono meridionali. Oltre un quarto dei diplomati ed oltre un quinto dei laureati tra i 15 e i 34 anni non lavora e nel contempo ha abbandonato il sistema formativo. Nel 2015 risultano occupati nel Sud il 40,9 per cento dei diplomati ed il 57,6 per cento dei laureati a tre anni dal conseguimento del titolo di studio a fronte rispettivamente del 49 per cento e 68,8 per cento del Centro-Nord; prima della crisi erano circa il 60 per cento circa dei diplomati ed il 70 per cento dei laureati. Un gap incolmabile rispetto alla media europea dove le percentuali si attestano al 70 per cento dei diplomati e all’81 per cento dei laureati.

La timida buona notizia arriva dall’economia: il Sud nel 2015 è tornato a crescere dopo sette anni con segno meno, a un ritmo che nell’ultimo anno è stato addirittura più veloce del resto d’Italia: +1 per cento rispetto al +0,7 del Centro Nord. La Sicilia e la Calabria, a causa dei risultati eccezionali ottenuti dal settore agricolo, crescono rispettivamente dell’1,5 e dell’1,1 per cento. Molto più contenuto (solo lo 0,2 per cento) è l’incremento registrato in Campania, Puglia e Sardegna, debolezza parzialmente attribuibile alla persistenza di alcune crisi industriali. «Il dato favorevole – sottolinea lo Svimez – è stato originato da una serie di eventi concomitanti, che però non evidenziano un mutamento strutturale delle singole componenti economiche. In particolare hanno contribuito la buona annata del settore agricolo e l’ottima prestazione di quello turistico, in conseguenza alla crisi di altre zone del Mediterraneo colpite da instabilità politiche. La chiusura della programmazione dei Fondi Strutturali 2007-2013 ha inoltre stimolato un’accelerazione della spesa per evitare la perdita di una parte dei Fondi». 

La crescita dell’ultimo anno non può però in nessun modo colmare il gap con il resto del Paese, che rimane «ancora strutturale e profondo, in particolar modo in alcuni settori economici, come quello manifatturiero». In sintesi, il Pil pro capite del Mezzogiorno nel 2015 è tornato ai livelli di metà anni Duemila: 17.887 euro rispetto ai 17.884 del 2006. Ma resta poco più della metà (56 per cento) rispetto al resto del Paese. «La divergenza tra le due aree del Paese – continua la relazione 2016 – rimane ancora nettamente marcata e non può essere superata grazie a occasionali incroci di fattori positivi ma necessita un reale processo di amalgamazione. Nel quindicennio tra il 2000 e il 2015 il divario del PIL per abitante tra Mezzogiorno e il resto del Paese si è ridotto appena dello 0,3 per cento, passando dal 56,2 al 56,5 per cento del valore nazionale. Un divario che si conferma difficile da colmare, sebbene sia soggetto a lievi diminuzioni: nel 2015 il Pil per abitante della regione più ricca d’Italia, il Trentino Alto Adige (37.561 euro pro capite), risulta più che doppio di quello della regione più povera, la Calabria (16.659 euro pro capite)».

Nel 2015 l’occupazione è cresciuta anche al Sud, confermando il cambio di tendenza avutosi nel 2014 dopo un biennio negativo: il numero di occupati è aumentato di circa 135mila unità, pari a un incremento dello 0,6 per cento rispetto all’anno precedente, quando l’occupazione era aumentata solo dello 0,1 per cento. Il sorpasso del Sud è avvenuto anche nel mercato del lavoro, con la crescita quasi doppia degli occupati (0,8% rispetto allo 0,4% nazionale), interrompendo la serie negativa che proseguiva dal 2007. Sia sul piano nazionale che su quello del Centro-Sud la crescita degli occupati è localizzata nel settore del lavoro dipendente, mentre il lavoro autonomo subisce una flessione

Salvo Catalano

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