«La Siria brucia, Aleppo è una catacomba, Boko Haram continua il suo sterminio. Il mondo esplode attorno a noi e l’opinione pubblica in Italia si infiamma per i canti di Natale o il presepe. È una bestemmia». Sebastian Intelisano cura la Scuola della pace della Comunità di Sant’Egidio, iniziativa che coinvolge oltre un centinaio di bambini e bambine dei quartieri San Berillo, San Cristoforo, Antico corso e Civita. Nel doposcuola e nelle altre attività vengono coinvolti piccoli di religione cristiana e musulmana e le loro famiglie. Per le festività natalizie, così come a Pasqua e per il Ramadan «c’è un grande piacere nel farci gli auguri e nel partecipare a questi momenti. Ognuno gioisce nelle feste degli altri, che significa avere una forte comunità. Là dove questo non avviene, i risultati sono evidenti», riflette. Il riferimento è alle polemiche scoppiate in vista del 24 dicembre a Rozzano, nel Milanese. Vicende che hanno occupato per giorni il dibattito mediatico e politico, ma che «per i livelli di integrazione che abbiamo a Catania non si verificano», di questo il responsabile ne è sicuro. Che bolla l’eco che si è scatenato come poco produttivo. «Davanti a un dibattito così scarso è perfino difficile avere un’opinione».
L’anno di attività interculturale portato avanti dalla Scuola della pace viene riassunto in un’immagine: un fioraio musulmano porta un grande albero di Natale in chiesa. È successo nella sera di venerdì, all’interno della chiesa di Santa Chiara, poco prima di una cena per festeggiare l’avvio delle vacanze natalizie. «Sono i più piccoli che ci spiegano qual è il mondo che dobbiamo volere per domani», afferma Intelisano. «Abbiamo organizzato tutti assieme una cena per 130 bambini, alla quale non è stata servita la carne di maiale così da permettere a tutti di poter mangiare. E alla fine Babbo Natale ha portato i regali per tutti», racconta. «È lo specchio di una società sana, dove io da cristiano non voglio convertire nessuno, perché ho un forte rispetto della religione islamica. E la cosa è reciproca». Il momento di incontro si ripeterà anche il 25 dicembre, in occasione del pranzo all’interno della chiesa di San Nicolò La Rena.
«La comunità musulmana è molto integrata nel quartiere e con il quartiere, c’è un fortissimo dialogo con l’Islam». Alle falde dell’Etna si trova la moschea più grande del Mezzogiorno. E, assieme a molti altri, negli anni si è saldato un ulteriore punto di unione: «La richiesta di pace che viene dai migranti – sottolinea Sebastian Intelisano – È qualcosa che ci unisce». Così, nei momenti in cui gli sbarchi sono diventati molto intensi e le strutture civili cittadine si sono trovate in difficoltà, «è successo che nella chiesa di Santa Chiara fossero accolti musulmani e nella moschea dei cristiani». L’unione tra le comunità è emersa anche subito dopo gli attentati terroristici dello scorso 13 novembre a Parigi. Pochi giorni dopo è stata organizzata una fiaccolata interreligiosa molto partecipata, preceduta da una forte condanna per i volantini affissi da Forza nuova davanti alle sedi delle associazioni promotrici.
A fare da collante per questo esperimento riuscito di integrazione sono i più piccoli. «Alla fine le famiglie sono unite dalle vite quotidiane dei figli», dice il referente. La Scuola della pace «è interconfessionale e laica – precisa – Stabilmente seguiamo oltre 70 alunni e ci sono diversi migranti che ci aiutano nelle attività». Un progetto che permette di «togliere tensioni dalle strade». E analizza: «Così come la mafia, anche l’Isis parte dalle sacche di esclusione. Se noi facciamo crescere le nuove generazioni senza far sentire nessuno escluso, creiamo quartieri dove c’è un maggiore dialogo. E costruiamo la più grande barriera al terrorismo».
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