«Il museo egizio non è cosa vostra». Uno striscione in piazza Carignano, a Torino, e alcune bandiere del movimento politico Piemonte stato. È la nuova protesta contro l’apertura di una succursale a Catania di una delle più importanti strutture museali d’Italia. Un banchetto per raccogliere le firme, un annuncio in italiano con la traduzione in dialetto piemontese e la convinzione che la possibile filiale catanese sia una delle «storture italiane». E se prima i leghisti torinesi avevano mantenuto lo scontro sul livello politico (il loro striscione recitava «Le mummie a Torino, a Catania Fassino»), adesso la frangia indipendentista gioca con il riferimento alla mafia. E all’assonanza, sottolineata dalle virgolette, tra Cosa nostra e «cosa vostra». «Alle miserie non si risponde», replica l’assessore alla Cultura etneo Orazio Licandro. «Noi continuiamo a lavorare», dice. Ma Sonia Turinetti, presidente del movimento politico, si difende: «Non c’è nessun riferimento alla mafia, è un messaggio forte alla tutela del museo», sostiene.
Era la metà di febbraio quando è stata diffusa la notizia dei contatti tra il Museo egizio di Torino e il Comune di Catania. La possibilità che alcuni reperti, al momento custoditi nei magazzini piemontesi, potessero vedere la luce in Sicilia era stata accolta dai più con gioia. Ma al tam tam mediatico era seguita quasi subito una puntualizzazione da parte della fondazione Museo egizio, che aveva precisato che si era trattato «solo di contatti preliminari». Il primo attacco, però, era arrivato dal capogruppo della Lega nord al consiglio comunale di Torino Fabrizio Ricca, secondo il quale il capoluogo etneo era troppo lontano da raggiungere per i reperti archeologici. A quella presa di posizione era seguito un sit-in in via Accademia delle scienze. Avevano partecipato poco più di una decina di manifestanti e non se n’era più parlato. Fino allo striscione di oggi firmato Piemonte stato. Per il gruppo politico l’azione odierna è contro i vertici della fondazione: «Non possono gestire i nostri reperti, la nostra storia, la nostra cultura, a loro piacimento – sottolinea Turinetti – Non è assolutamente contro Catania. Saremmo qua anche se i trasferimenti fossero stati a Milano, Bergamo, Firenze». E aggiunge: «I reperti appartengono ai cittadini di Torino e del Piemonte, da momento che il museo è preunitario».
«Il nostro è un progetto complesso – risponde Licandro – ed è il caso di lasciarlo fuori da azioni di propaganda politica». Gli uffici del Comune, i funzionari e i tecnici, secondo l’assessore, sono al lavoro per scrivere in fretta un piano da realizzare. «Tutto il resto sono polemiche inutili e strumentali – continua – Abbiamo inviato la planimetria del convento di via Crociferi, siamo in contatto costante con la direzione del museo». E se era stata diffusa la notizia di 17mila reperti da trasferire da Torino a Catania, Orazio Licandro ci tiene a precisare che «anche questa è una favola». «I reperti vanno selezionati sulla base di un’idea scientifica che stia in piedi e che sia congrua con la storia e le possibilità della città. Siamo persone serie, non possiamo dare numeri a caso».
Gli accordi, nel frattempo, sembrerebbe che vadano avanti. Ed è fissato un sopralluogo dei vertici del museo, la cui data, però, non è ancora stata fissata. L’appuntamento a Catania servirà anche a stabilire se la sede pensata dall’amministrazione etnea può essere quella più «idonea» a rispondere ai requisiti dettati dalla soprintendenza ai Beni archeologici di Torino. Quella che si può prevedere, invece, è una tempistica di massima sui prossimi passaggi: «Entro il 2016 dobbiamo finire gli interventi strutturali sul convento di via Crociferi – conclude l’assessore – Contemporaneamente lavoriamo al progetto e alla redazione dei protocolli d’intesa». Con grande prudenza, «e la dovuta cautela, posso dire che forse nel 2017 saremo in grado di aprire la succursale», sostiene. Una sede in cui, si raccomandano in tanti, mettere personale altamente specializzato. «A Torino conoscono la città e ne apprezzano il patrimonio. Sanno che non andranno in mezzo al deserto».
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