«Il suggerimento di accendere il Muos alla minima potenza, così da poter escludere ogni riflesso negativo sulla popolazione, significa ammettere che già alla potenza media, figuriamoci la massima, sarebbero configurabili rischi per la salute». L’associazione antimafie Rita Atria torna sulla vicenda dell’impianto satellitare di telecomunicazioni militari di Niscemi, inviando una nota difensiva al gip e al procuratore di Caltagirone, cioè quelli che hanno deciso e proposto il sequestro del sito. L’intervento dell’associazione vuole da un lato sottolineare l’importanza dei fatti degli ultimi giorni, e dall’altro evidenziare quanto non ritiene condivisibile nella sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa. Proprio quest’ultimo – rovesciando in parte la decisione del Tar, che aveva definito abusivi i lavori per il Muos – aveva nominato un collegio di periti per misurare i campi elettromagnetici delle parabole, per la prima volte accese e alla massima potenza. In aggiunta alle 46 antenne esistenti dagli anni ’90 della base. La verifica però è saltata per decisione della Prefettura di Caltanissetta che, 24 ore prima del via, ha appurato come nessuno fosse a conoscenza delle misure precauzionali da prendere.
L’associazione, attraverso i suoi legali Goffredo D’Antona e Sara Catalano, «esprime preoccupazione nel constatare che neanche gli stessi verificatori vogliono assumersi la responsabilità di decidere e indicare quali siano le misure opportune da adottare per la tutela dell’incolumità e della salute pubblica». A destare allarme è anche la soluzione suggerita dai periti. E cioè accendere il Muos alla minima potenza per escludere eventuali effetti negativi sulla popolazione. «Un’ammissione, di fatto, che a una potenza maggiore sarebbero configurabili rischi per la popolazione», rispondono i legali. Che, per inciso, si chiedono anche quale sia la potenza minima dell’impianto. Ma gli avvocati vanno oltre, contestando l’impianto generale della decisione del Cga. I giudici amministrativi – al contrario del Tar – avevano infatti dichiarato illegittima – perché «basata su un’insufficiente istruttoria» – la revoca delle autorizzazioni per il Muos, decisa nel 2013 dalla Regione. Su questo punto l’associazione Rita Atria sottolinea, invece, come le carenze vadano semmai cercate non nel ritiro delle autorizzazioni, ma nel loro rilascio.
Mancanze individuate, peraltro, sia dal Tar di Palermo che dalla procura di Caltagirone. Ed emerse, sottolineano D’Antona e Catalano, «in modo incontestabile il 5 febbraio 2013, nell’audizione dei due tecnici nominati dall’università di Palermo, gli ingegneri Patrizia Livreri e Luigi Zanforlin, alla quale ha presenziato il dirigente Arnone, poi autore degli annullamenti. In tale sede si è, infatti, accertata la presenza di studi svolti in carenza di requisiti essenziali». Un deficit, aggiungono i legali, ammesso dagli stessi Livreri e Zanforlin quando hanno affermato pubblicamente «di non aver eseguito alcuno studio e/o verifica propria, in quanto i dati furono forniti dalla marina degli Usa». Ma c’è di più. I dati forniti all’epoca dai due ingegneri dell’università di Palermo, «si baserebbero sull’erroneo presupposto della dismissione delle antenne Nrtf (le 46 antenne già attive nella base di Niscemi, ndr) le cui emissioni elettromagnetiche vanno, invece, a sommarsi a quelle del Muos». Senza considerare il conflitto di interessi che coinvolge la professoressa Livreri, legata alla società che avrebbe compiuto i lavori al Muos, e che farebbe venire meno «ogni profilo di imparzialità che ne avrebbe dovuto connotare lo svolgimento del ruolo assegnatole».
Sulla base di queste ragioni gli avvocati chiedono di disapplicare le eventuali autorizzazioni regionali nel caso in cui si volesse riproporle, cioè di agire come se questa autorizzazione non ci fosse, in quanto illegittima. Un dettaglio non da poco, perché darebbe alla Procura lo strumento per opporsi al dissequestro dell’impianto, qualora l’avvocatura dello Stato lo chiedesse. «Al di là delle decisioni del Cga – conclude l’associazione – le revoche di queste autorizzazioni sono pienamente legittime, […] visto che dopo quasi cinque anni di processi, con tutte le carte a disposizione e con una serie di studi, professori universitari non sanno ancora i rischi che possono verificarsi».
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