Due mummie egizie sono state a Messina. Ma giusto qualche ora. Il tempo per essere analizzate nel laboratorio di Neuroradiologia del Policlinico. Un trasporto eccezionale che insieme ai due reperti ha portato in riva allo Stretto anche un sarcofago di età faraonica. A rendere necessaria questa trasferta è stata una ricerca scientifica avviata dai Musei Vaticani per datare con esattezza due dei tre reperti conservati nella struttura capitolina e comunemente chiamate mummie bambine. Il perché di questo nome è presto detto.
Basta guardarle per capire che sembrano essere i corpi mummificati di due bimbi. A far sorgere i dubbi sull’autenticità di questi reperti sono state però delle ricerche scientifiche eseguite in altri paesi, che hanno dimostrato come in molti casi si trattasse di artefatti di epoca medievale. Anche i Musei Vaticani hanno voluto vederci più chiaro e il direttore del laboratorio di Diagnostica, Ulderico Santamaria, ha avviato una ricerca scientifica che ha permesso di risalire all’epoca delle due mummie. Per farlo sono stati utilizzati anche i laboratori di Neuroradiologia del Policlinico, diretti dal professore Marcello Longo. «L’antico Egitto mi ha sempre affascinato. Non ho esitato un attimo quando mi è stata offerta la possibilità di partecipare a una ricerca di questo tipo».
E la dimostrazione che le mummie esercitino il loro fascino ancora oggi lo dimostrano i tanti studenti che nei giorni scorsi hanno preso parte al convegno, che si è svolto presso l’aula dell’accademia dei Pericolanti dell’università di Messina. «Mi è dispiaciuto che tanti altri universitari non siano riusciti a entrare e non abbiamo potuto partecipare all’incontro con la dottoressa Alessia Amenta, responsabile della sezione egizia dei Musei Vaticani, e la dottoressa Sveva Longo, dell’università Sapienza di Roma».
I reperti egizi sono stati analizzati nei laboratori del Policlinico sotto lo sguardo attento della dottoressa Amenta che non li ha mai lasciati un attimo da soli. A differenza del passato, quando per capire se la mummia era autentica venivano impiegate tecniche che potevano intaccare l’integrità dell’oggetto, oggi si utilizzano analisi con i raggi X e più recentemente la tomografia computerizzata, più conosciuta come Tac. Grazie all’impiego delle nuove tecnologie, molte mummie si sono rivelate non autentiche. «Si parla in questi casi di pseudo-mummie – spiega il professor Longo -. Si deve però distinguere se si sia in presenza di mummie egizie senza corpo, perché probabilmente distrutto dalla causa della morte, e in questo caso si parla di fonte affidabile faraonico-romana, oppure il reperto sia una mummia di età moderna, e in questo caso si è in presenza di mummie false vendute fraudolentemente come vere».
Nei laboratori del Policlinico sono state sottoposte a Tac le mummie bambine codificate con i numeri 57.852 e 57.853. «Nella prima abbiamo trovato solo alcune ossa degli arti inferiori di un adulto, mentre la maggior parte del contenuto era stata fatta con bende ripiegate su se stesse, fissate tra loro da diversi chiodi». Per sapere che età avessero le ossa dentro la mummia è stato eseguito un esame al radiocarbonio su un piccolo pezzo di tibia sinistra. «Abbiamo stabilito che questo esemplare risale all’anno mille – sottolinea Longo -. Le ossa ritrovate nella mummia non appartengono a un bambino e nemmeno a un individuo completo. Ma soprattutto che non risalgono all’età faraonica». Lo stesso studio è stato condotto anche sulla seconda mummia bambina arrivando alle stesse conclusioni. «Anche in questo caso sono state trovate diverse ossa umane adulte – prosegue Longo – in particolare quelle degli arti inferiori e di parte del bacino e della colonna lombare sempre con un ammasso di bende ripiegate su se stesse, fissate con chiodi, per dare forma alla struttura».
Dalle analisi è stato possibile inoltre dimostrare che i volti erano stati realizzati con una maschera composta probabilmente da gesso. Peraltro, nulla esclude che siano state create con lo stesso stampo. «Si tratta di una struttura composta dalla sovrapposizione di una lamina di stagno, ricoperta da un materiale con un’alta percentuale di calcio». Questo dato è apparso ai ricercatori come un importante indizio sulla non autenticità dei reperti. «Il foglio di stagno è riconducibile a una manifattura medioevale o comunque più recente» prosegue Longo. Lo stagno non è presente nei reperti dell’antico Egitto. Stesso discorso per i chiodi che fissavano le bende.
Tutti particolari che, comunque, non tolgono fascino, ma al contrario accrescono l’alone di mistero attorno alle due mummie.
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