Diranno che era un eccezionale libraio, competente e aggiornato come pochi. Ciccio Di Stefano – detto Ciccio D – fu invece un banchiere, un illustre banchiere d’investimento che ha contribuito allo sviluppo di Catania. È vero che non è facile spiegarlo a chi ha meno di cinquant’anni e non vorrei che questa affermazione sia fraintesa.
Oggi, se vuoi comprare un libro, inserisci il numero della carta di credito e fai clic. Oppure vai in una di quelle librerie di catena con divani e poltrone, scaffalature e tavoli in cui trovano spazio i bestseller ordinati per classifica di vendite. Lì potrai rivolgerti al commesso per aiutarti a trovare la mensola giusta o controllare attraverso il computer. Gli altri librai li incontrerai solo alla cassa.
Perché oggi i libri si pagano. Invece, al tempo di Ciccio D, non si pagavano subito. E qualche volta non si pagavano affatto, qui sta il punto. L’avvio della libreria La Cultura di Ciccio Di Stefano e Carmelo Volpe, attiva per circa mezzo secolo in piazza Vittorio Emanuele e chiusa definitivamente una decina di anni fa, coincise con uno straordinario incremento del numero di lettori. Era il tempo dell’invenzione dei tascabili in edicola (la collana Oscar Mondadori esordì nell’aprile 1965 con Addio alle armi di Hemingway a 350 lire). Eppure le librerie non ne soffrirono perché si avanzava una nuova generazione assetata di scoprire una visione del mondo e affermare la propria identità attraverso i libri. Scegliere un libro o passare in libreria per sfogliarne qualcuno e in cerca di incontri divenne un rito quotidiano; una forma di trasgressione visto che, allora come oggi, la scuola non insegnava a leggere.
Consigliere e complice di quelle trasgressioni, Ciccio D – come i veri banchieri di un tempo – si assumeva il rischio di segnare a credito. E non si può dire che non fosse generoso perché la scheda di ciascuno di noi eccedeva sconsideratamente il reddito. Si trattava di un investimento sul futuro? Ma come faceva a capire chi, pur di non privarsi del diritto di prendere un volume fresco di stampa di cui non poteva fare a meno, sarebbe venuto a versare una piccola rata?
L’etica del tempo, purtroppo, contemplava l’idea che sgraffignare libri non fosse vergognoso. Visto che le barriere antitaccheggio non erano state inventate, era facilissimo nasconderne uno sotto il lato sinistro del giaccone e uscire disinvoltamente dopo aver stretto la mano al libraio con la destra. Fidarsi di lettori cronicamente inadempienti sanciva dunque un compromesso per limitare la pratica dei furti: mettere in conto era più conveniente di rubare. Inoltre quei due indimenticabili librai della nostra generazione, si erano divisi i ruoli del buono e del cattivo come in un romanzo poliziesco. Così capitava che Ciccio Di Stefano ti mettesse in mano anche un volume della costosissima Biblioteca di cultura storica dell’Einaudi con una pacca sulla spalla, mentre toccava a Carmelo Volpe tirar fuori la scheda per farti notare che negli ultimi tre mesi non avevi lasciato neppure mille lire.
Insomma, in questo giorno tristissimo in cui saluteremo Ciccio D per l’ultima volta, molti vorranno giustamente ricordare che La Cultura fu una gloriosa libreria indipendente del secolo scorso, incisa per sempre nella storia culturale della città. Da parte mia volevo aggiungere che Ciccio Di Stefano è stato l’unico vero banchiere catanese nel senso autentico. Non adorava il denaro, la sua religione non era il profitto e non è morto ricco ma ha investito molto. Perciò ha lasciato un immenso patrimonio di riconoscenza, la nostra.
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