MORDI E FUGGI/ Il diritto di morire

UNA RIFLESSIONE SUL ‘TESTAMENTO BIOLOGICO’ NEL NOSTRO PAESE

di Lorenzo Ambrosetti

Si discute ancora, in Italia, ormai da parecchi anni, di testamento biologico, ossia della possibilità concessa dall’ordinamento giuridico dello Stato ad un cittadino italiano, di disporre, anticipatamente, ossia quando si trova ancora in vita, del suo futuro destino nell’ipotesi che qualche grave malattia possa colpire il suo corpo e lui non possa, in tal modo, essere più in grado di decidere.

In molti Paesi del mondo la soluzione adottata dai legislatori è stata nel senso del riconoscimento di questo diritto, e alcuni anni addietro anche Laura e George Busch hanno dichiarato di avere adottato una simile modalità di agire all’indomani della tragica vicenda che coinvolse Terri Schiavo, in stato vegetativo permanente da quindici anni, e per la quale i genitori ottennero dai giudici il consenso all’interruzione del trattamento artificiale che la manteneva in vita.

In Spagna, la Conferenza episcopale nel 2008, ha esplicitamente affermato che le dichiarazioni fatte in vita dalle persone e che riguardano il corso futuro della propria esistenza debbano sempre essere tenute in considerazione, e che se è vero che la vita è dono di Dio e quindi è da considerarsi come sacra, essa non può in alcun modo considerarsi il valore assoluto.

Che cosa accade oggi invece in Italia?

Assistiamo continuamente a continue strumentalizzazioni e prese di posizione ideologiche e comunque ad una pretesa da parte dell’ordinamento giuridico dello Stato di impossessarsi della persona, del suo corpo, del suo destino, impedendogli e addirittura negandogli espressamente il diritto a disporre liberamente della propria vita.

Si presenta quanto mai urgente una legge sul ‘testamento biologico’ anche se sarebbe più giusto parlare di direttive anticipate di trattamento.

Una tale legge sarebbe del tutto in sintonia con il riferimento fatto alla salute dall’Organizzazione mondiale della sanità, considerata come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”, che impone quindi di tutelare il soggetto che decida di disporre del proprio futuro nell’ipotesi in cui questo predetto stato di benessere possa venire meno.

Tale legge sarebbe anche del tutto in sintonia con il nostro impianto costituzionale che considera il consenso della persona ad ogni trattamento medico che la riguardi personalmente come fondamentale ed ineliminabile.

L’art. 32 della nostra costituzione considera ogni trattamento sanitario come possibile soltanto con il consenso della persona interessata e tutela espressamente il diritto di ogni cittadino italiano a disporre autonomamente del proprio corpo.

Si tratta di diritti che appartengono all’essenza dei valori su cui si fonda la Costituzione e costituiscono, come espressamente detto dalla Corte costituzionale, principi supremi dell’ordinamento giuridico della Stato, che non potrebbero essere sovvertiti o modificati neppure da leggi costituzionali o di revisione costituzionale.

La rivoluzione del consenso informato concede la parola a chi era o si trovava inerme di fronte al potere del terapeuta e definisce una nuova categoria generale costitutiva della persona.

La Costituzione parla al riguardo del diritto alla salute come diritto fondamentale del cittadino esprimendo una intoccabilità da parte del potere costituito che non può in alcun modo limitare il potere del soggetto di disporre, anche per quanto concerne il futuro, dei trattamenti sanitari che potrebbero in qualsiasi misura essergli somministrati.

Quindi se è vero che all’interno del nostro ordinamento non si può prescindere dalla volontà dell’interessato per quanto concerne i trattamenti sanitari che possono essergli somministrati, deve assolutamente essere riconosciuto il diritto di ogni persona a morire con dignità quando, per qualsiasi causa, la continuazione della propria vita rappresenta una inutile sofferenza, per sé e per i suoi familiari.

Redazione

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