Sarebbe di grande interesse seguire una lezione del professore Mario Monti ai suoi studenti dell’Università Luigi Bocconi di Milano mentre spiega loro cos’è lo spread e quali misure sono necessarie per contrastarne gli effetti negativi sull’economia di una nazione. Lo spread, com’è noto, è la differenza dei rendimenti finanziari derivanti dall’acquisto di quote del debito pubblico immessi nel mercato finanziario da Paesi la cui affidabilità economica e la credibilità politica hanno quotazioni differenti.
Immaginiamo che le disquisizioni accademiche sarebbero incentrate su tre punti: rigore, equità e crescita. Scandite ognuna in fasi e tempi diversi. Il rigore subito, l’equità vedremo, la crescita nel medio periodo. Intanto, il rigore, quale misura immediata, consisterebbe nell’abrogare tutti i diritti dei lavoratori e, nel contempo, colpirli con maggiori oneri fiscali, togliere loro il diritto alla programmazione della loro vita aumentando dall’oggi al domani il tempo del lavoro e prolungando all’improvviso il tempo della loro andata in pensione e, magari, lasciandoli in mezzo al guado senza stipendio, senza pensione e senza lavoro, in mezzo ad una strada; togliere loro la dignità umana di conoscere le ragioni del loro possibile licenziamento ed alleggerire il medio-grande imprenditore dall’onere di motivare il licenziamento individuale di un proprio singolo lavoratore.
Cioè di una misura aziendale che nulla ha a che vedere con la produttività dell’impresa o con la crisi di mercato, perché, come si dice in questi casi, una noce in un sacco vuoto non fa alcun rumore. Eppure l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori è stato un dei principali cardini da rimuovere per fronteggiare il pericolo della crescita dello spread. Misure assolutamente inutili e pretestuose tanto che lo spauracchio dello spread crescente si è ripresentato nella sua onerosa immanenza.
Sul versante dell’equità non c’è segno alcuno, tanto che i ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i tagli, cioè i risparmi dei costi di spesa pubblica riguardano i Comuni ed il servizio sanitario nazionale. Ancora una volta i servizi che lo Stato, nelle sue articolazioni, è chiamato a fornire ai cittadini e, in particolare, ai soggetti più deboli. In sostanza, come sul dirsi, pagano sempre i soliti noti.
Sul versante dello sviluppo la lezione Monti si articola in un complesso di piccole misure, specialmente nel campo dell’edilizia, finalizzate alla ripresa delle piccole attività diffuse, ma nulla c’è sulla politica industriale: la Fiat continua a smobilitare e le medie aziende a delocalizzare in Serbia o in Croazia o in altri Paesi dell’est europeo,mentre per il Mezzogiorno non è previsto alcun progetto di crescita imprenditoriale e produttiva. Se mezzo Paese è improduttivo come si pensa di poter mettere assieme le risorse per pagare il debito?
Il professore Mario Monti era stato invitato a mettere la sua scienza economica al servizio del Paese, ma la sua lezione a nostro parere è fallita tanto che lo spread ha ripreso a galoppare come prima, il debito pubblico non accenna a diminuire, non c’è segno di avanzo primario per investimenti e per l’alleggerimento del debito, che ha superato il 120 per cento del prodotto nazionale lordo.
Se la lezione alla quale spereremmo di assistere dovesse contenere l’esperienza dei primi nove mesi del governo Monti sarebbe una noia mortale. Meglio rinunciare.
Sappiamo tutti che le ragioni dell’inaffidabilità dell’Italia sono tutte concentrate sull’enorme debito pubblico che ci trasciniamo dietro da almeno trent’anni e cioè dall’epoca dei governi Craxi e del CAF, tratto dalle iniziali del trio Craxi, Andreotti, Forlani. Ed è altrettanto vero che in questo lungo periodo nessuno è mai riuscito a porvi rimedio, forse perché nessuno realmente vuole colpire gli interessi della rendita finanziaria, tranne uno che in passato ha dato prova concreta che volendo è possibile ridurlo.
Negli ultimi vent’anni un ministro – che magari non proveniva dall’alta scuola economica della universitè Bocconi di Milano – è riuscito a portare nel breve periodo in cui è stato in carica il debito da 119 a 104 del Pil ad abbatterlo di ben 15 punti ed a recuperare un avanzo primario consistente, tale da non dover ridurre i trasferimenti ai Comuni per la loro attività di servizio sul territorio. Questi è stato il ministro Vincenzo Visco che anche se ha fatto fare agli italiani dei sacrifici, ben inferiori a quelli che ci hanno propinato i professori Mario Monti ed Elsa Fornero, quei sacrifici sono stati ben finalizzati.
Ma la sua azione è stata sabotata dal suo stesso partito, dai sindacati e dalla pubblica opinione pilotata dalla stampa che protegge gli interessi della speculazione finanziaria. Purtroppo quella stagione ha avuto una durata assai breve per l’incapacità della sinistra italiana di costruire un progetto duraturo di governo.
Proprio ieri un altro economista italiano che, ahilui non è proveniente dall’università Bocconi di Milano ma, più modestamente, dall’università romana della Sapienza, con una frase pronunciata nel corso di una conferenza londinese su temi finanziari ha contribuito in misura sostanziale a far ridurre lo spread verso i Paesi mediterranei dell’Europa ed a far fare un balzo in avanti alle Borse europee, nonché a rivalutare l’euro nei confronti del dollaro.
Come si può facilmente notare, le grandi menti economiche sono buone a studiare i fenomeni dopo che si sono verificati, difficilmente sono capaci di prevedere tendenze negative ed a proporre correzioni tempestive E’ bastata una frase detta da fonte autorevole per avviare un percorso virtuoso. La frase, in sintesi, è: nessun Paese uscirà dall’euro e la Banca centrale europea interverrà senza limiti a sostenere i Paesi in difficoltà.
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