Montante, i vertici dei servizi segreti e lo psicoterapeuta Il giudice invia gli atti alla Procura per approfondimenti

Le indagini sul sistema Montante potrebbero arricchirsi di un nuovo filone. Alla fine del processo con rito abbreviato, che ha visto la condanna dell’ex capo di Sicindustria a 14 anni di carcere, la giudice Graziella Luparello ha inviato gli atti alla Procura di Caltanissetta «per le valutazioni di competenza» nei confronti di quattro persone: la giornalista Lucia Basso, il medico Pietro Cuzzola, il generale Mario Parente, numero uno dei servizi segreti interni (Aisi), e Valerio Blengini, vicedirettore operativo della stessa Aisi. Nessuno di loro è indagato (anche se il nome dei due 007, in particolare quello di Blengini, torna più volte nelle indagini), ma la gup ritiene che sulle loro posizioni ci possano essere i margini per un ulteriore approfondimento e ha inviato le carte ai colleghi inquirenti guidati dal procuratore capo Amedeo Bertone. 

Il nome nuovo è quello di Pietro Cuzzola, psicoterapeuta messinese, consulente di parte di Montante, avendo ricevuto l’incarico di certificare le condizioni di salute mentale dell’imprenditore. E il professionista ha messo nero su bianco l’incapacità dell’imputato di partecipare alle udienze. Valutazioni su cui gli avvocati di Montante, Giuseppe Panepinto e Carlo Taormina, hanno poi chiesto, a metà marzo, la sospensione del processo e la nomina di periti da parte del Tribunale. Richieste respinte dalla stessa giudice Luparello che aveva ribadito la lucidità mostrata da Montante anche nella fase più recente, quando aveva firmato di suo pugno l’istanza di spostare il processo, teorizzando «un riemergere della mafia» dietro l’azione giudiziario. Accuse che recentemente il procuratore Bertone ha definito «gravissime». Ebbene, adesso la gup suggerisce alla Procura di valutare se nella certificazione di Cuzzola ci siano gli estremi per configurare qualche reato. «Mi sorprende molto – spiega Cuzzola a MeridioNews – Lo stato di depressione di Montante è acclarato e sulla base di questo il Riesame ha anche concesso i domiciliari. Rimango convinto di quello che ho scritto».

Atti inviati anche per valutare le dichiarazioni della giornalista della TgR Lucia Basso, sentita durante il processo con rito abbreviato come teste di uno degli imputati, l’ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta Gianfranco Ardizzone, condannato a tre anni. Basso non è stata sentita per la sua attività giornalistica in Rai.

Fanno più rumore i restanti nomi, cioè i due vertici dei servizi segreti. In particolare viene chiesto di valutare le dichiarazioni di Blengini rese agli stessi pm in fase di indagine e quelle fatte dal numero uno dell’Aisi Parente in sede di indagini difensive. Blengini non è indagato, ma, stando a quanto risulta dalle carte, avrebbe avuto un ruolo nella catena di uomini delle forze dell’ordine che, ancora durante la fase di indagini, si sarebbero attivati per rastrellare informazioni riservate sulle attività degli investigatori nisseni nei confronti di Montante e del colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, di stanza all’Aisi dopo l’esperienza alla Dia di Palermo. D’Agata è imputato nel processo con rito ordinario iniziato lunedì a Caltanissetta. 

La fuga di notizie sull’indagine della Mobile nissena parte da Andrea Grassi, all’epoca in servizio al servizio centrale operativo di Roma, proprio ieri rimosso da questore di Vibo Valentia e trasferito a Roma a seguito della condanna a un anno e quattro mesi – solo relativamente al reato di rivelazione di segreto d’ufficio e non per gli altri due capi d’imputazione – nel processo con rito abbreviato. Grassi rivela la notizia ad Andrea Cavacece (uno dei capo reparto dell’Aisi e imputato nel rito ordinario). «Una volta appresa tale informazione riservata – annotano gli inquirenti – gli ambienti dei Servizi di informazione e sicurezza si erano attivati per carpire ulteriori notizie sulle indagini in corso e uno dei canali prescelti veniva individuato nel dottor Valerio Blengini, che si adoperava per avere un incontro col dottor Bruno Megale, al tempo questore di Caltanissetta, nel tentativo di sfruttare il rapporto di ultradecennale conoscenza». 

È lo stesso Megale a raccontare dell’incontro con Blengini. Quest’ultimo gli avrebbe chiesto informazioni sulle indagini su D’Agata, sottolineando di avere «un certo imbarazzo» per quanto appreso perché a D’Agata sarebbe dovuto essere assegnato un incarico operativo in Sicilia. Megale risponde che «una simile richiesta lo metteva in difficoltà e non poteva fornire alcuna indicazione in merito a un’indagine che era assolutamente riservata». Ma secondo i pm tanto era bastato – cioè una mancata rassicurazione – ad accendere «un ulteriore campanello d’allarme negli ambienti dell’Aisi, persuadendoli che le attività nei confronti di D’Agata avessero quindi un loro fondamento e che necessitasse, dunque, un ulteriore approfondimento per verificare cosa stesse realmente accadendo».

I pm di Caltanissetta dovranno valutare anche se ci sono gli estremi per indagare l’attuale numero uno dei servizi segreti interni Mario Parente (succeduto al generale Arturo Esposito che è imputato nel processo Montante con rito ordinario). Secondo Repubblica, Parente, sentito dagli avvocati di Cavacece, ha riferito che Blengini gli raccontò di quelle domande su D’Agata, e ha però precisato «di non averne parlato né con Cavacece né con il direttore Esposito, in quanto la notizia era indeterminata», aggiungendo «di essersi dichiarato contrario quando Esposito propose di mandare D’Agata in Sicilia».

Salvo Catalano

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