Avrebbe continuato a condurre la propria vita tra le mura di casa come se nulla fosse accaduto, nonostante il suo nome sia al centro dell’inchiesta giudiziaria più eclatante degli ultimi anni. Dietro al trasferimento in carcere di Antonello Montante – l’ex presidente di Confindustria Sicilia accusato di essere al vertice di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, con una rete di relazioni importanti che avrebbe sfruttato per influenzare il contesto politico-economico e, al contempo, assicurarsi la copertura delle passate frequentazioni con i boss di Serradifalco – ci sarebbe l’atteggiamento di un uomo che, per nulla intimidito e pur consapevole di avere addosso l’attenzione di forze dell’ordine e media, avrebbe continuato a muoversi con un grado di libertà che non dovrebbe spettare a chi viene relegato ai domiciliari.
A convincere la giudice per le indagini preliminari Maria Carmela Giannazzo ad accogliere la richiesta di aggravamento della misura cautelare, inoltrata dai pm nisseni Gabriele Paci e dai sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, è stato infatti non solo quanto successo il giorno dell’arresto, quando Montante ha aperto la porta agli uomini della squadra mobile dopo due ore e dopo avere – è questa la tesi di magistrati e forze dell’ordine – distrutto 24 pen drive ed essersi liberato di documenti, lanciandoli tra un pozzo luce, il cortile di un altro appartamento e il balcone di un vicino. In quella occasione, all’interno dell’abitazione insieme a Montante ci sarebbero state anche due sue strette collaboratrici – Carmela Giardina e Rosetta Cangialosi – adesso indagate per favoreggiamento. In particolare, Cangialosi nelle ore trascorse chiusi in casa senza aprire alle forze dell’ordine avrebbe reinizializzato il proprio Iphone. In pratica, avrebbe cancellato tutto il contenuto del proprio cellulare, anche se lei continua a negare di averlo fatto.
Ma non è tutto. Montante, negli ultimi dieci giorni, avrebbe ricevuto numerose visite, pur avendo il divieto di entrare in contatto con persone non autorizzate. Tra loro ci sarebbero state le guardie giurate che si sarebbero alternate nel servizio di controllo della sua abitazione di Serradifalco. Stando a quanto trapela da ambienti investigativi, inoltre, a casa dell’ex presidente di Confindustria Sicilia, che durante l’interrogatorio di garanzia si è difeso in merito al ritardo nell’aprire la porta alla polizia sostenendo di temere che le persone sull’uscio potessero essere sicari giunti per ucciderlo, sarebbero arrivati a bordo di un furgoncino anche uomini della Mediterr Shock Absorbers (Msa), l’impresa di cui è titolare. Il timore degli inquirenti è quello che Montante abbia potuto impartire direttive finalizzate a proseguire nell’inquinamento delle prove di un’inchiesta da cui è lecito attendersi ulteriori colpi di scena. In tal senso, nel furgone Fiat Ducato sarebbe stato ritrovato un sacco di spazzatura contenente la scatola di un Ipad, dispositivo elettronico che sarebbe stato introdotto nella villa di Montante in seguito alla misura dei domiciliari, il 16 maggio.
Oggi, intanto, ci sono stati gli interrogatori ad alcuni tra gli indagati più in vista. Fra questi gli inquirenti hanno ascoltato l’ex presidente del Senato, Renato Schifani che si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Oltre ad avere depositato la richiesta di trasferimento degli atti che mi riguardano alla procura di Palermo, ho ribadito comunque a verbale la mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati». Queste le uniche parole di Schifani che i pubblici ministeri nisseni accusano di rivelazione di segreto investigativo e favoreggiamento. Anche l’ex direttore del servizio segreto civile, il generale Arturo Esposito e il professore Angelo Cuva si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Hanno, invece, risposto ai magistrati respingendo le accuse, gli altri indagati interrogati: l’ex direttore dello Sco della polizia Andrea Grassi e Andrea Cavacece, il capo reparto dell’Aisi. Nel frattempo, gli investigatori restano in attesa di capire se il contenuto delle chiavette distrutte – per il legale di Montante molto tempo prima della visita della polizia e per il semplice motivo che oramai non erano più utili – potrà essere recuperato, quantomeno in parte. Per fare ciò, sono state già contattate le aziende produttrici.
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