Modigliani, Modì, Maudit, come ha notato la critica d’arte Francesca Marini in un saggio su Amedeo Modigliani, l’assonanza è fin troppo semplice. A lui, soprannominato Modì e maledetto per la sua maniera di vivere, è dedicata la mostra ospitata al Museo Civico del Castello Ursino di Catania aperta fino all’11 febbraio e organizzata dal “Modiglian Institut Archives Légales, Paris-Rome”, in collaborazione con il ministero dei Beni Culturali e il Comune di Catania.
La rassegna catanese, curata dal coordinatore delle collezioni dell’artista, Giovanni Gibiin, fa parte del progetto “Casa Modigliani”, iniziativa della figlia Jeanne Modigliani che con Christian Parisot ha creato a Parigi le basi per la nascita di un centro culturale volto alla ricerca e alla valorizzazione della vita e dell’opera del pittore livornese di nascita e parigino di adozione.
La Parigi del primo ‘900 era allora per tutti gli inquieti, gli sradicati, gli illusi, i profeti veri, il luogo di approdo per cercare la propria vera o presunta vocazione. Moriva Cezanne l’anno in cui Modigliani faceva di Montmartre la sua casa. La vera accademia erano i caffè, i bistrot, i cabaret e le osterie dove si discuteva d’arte, poesia e musica e si riunivano i nuovi spiriti del XX secolo: Picasso, Soutine, Cocteau, Toulouse-Lautrec, Max Jocob, Apollinaire. La tisi spezzò precocemente, a soli 35 anni, la vita di Modì, cristallizzandolo come “l’artista dai colli lunghi”, e interrompendone il percorso artistico. Una vita dissoluta che diventa leggenda perché coronata dal dramma del suicidio di Jeanne, sua compagna e soggetto prediletto, all’indomani della sua morte. I suoi eccessi, il vino e l’hashish gli cuciono addosso l’abito dell’artista maledetto, che del suo mistero concede solo la luce nelle sue tele.
È forse per questo mistero che tre mostre, dedicate contemporaneamente all’artista, richiamano folle di curiosi e appassionati d’arte. In Italia la mostra parallela è stata inaugurata il 18 dicembre al Mart di Rovereto, che ospiterà otto teste scolpite a scalpello di suprema eleganza, fino al 27 marzo. In totale venticinque opere: quindici di raccolte pubbliche, dieci appartenenti a collezioni private, quindi precluse al grande pubblico.
“Amedeo Modigliani” è invece il titolo della personale allestita fino al 28 febbraio nella Casa Municipale di Praga. Basta il suo nome per affollare l’esposizione curata da Serena Baccaglini, che presenta oltre sessanta opere da collezioni pubbliche e private da tutto il mondo e si completa con documenti originali e fotografie d’epoca.
Nella nostra città, il Castello Ursino è la bellissima cornice della mostra “Modigliani, i ritratti dell’anima” che propone un centinaio di opere fra disegni, oli, sculture e poi fotografie, taccuini, lettere, cartoline e persino le pagelle scolastiche dell’artista, per meglio ricostruire la sua vita. A disposizione del visitatore però, solo quattro oli su tela, sette disegni e cinque sculture che rivelano un’esposizione povera.
È vero però che gli anni della scultura vanno solo dal 1910 al 1913, e le otto teste esposte al Mart rappresentano infatti già un terzo della sua produzione scultorea. Abbandonato lo scalpello, l’artista vagabonda da Montmartre a Montparnasse e non può portare con sé quei blocchi di marmo che la notte rubava al Mètro in costruzione per trasformarli soprattutto in teste femminili. Dal 1914 si dedica quindi a ritratti che non concedono nulla al tempo, ma che sono il riflesso di uno stato d’animo.
L’inizio del percorso espositivo ricostruisce nella prima sala la biografia dell’artista attraverso foto di famiglia, pagelle e il diario della madre Eugènie Garsin, iniziato nel 1886, quando Amedeo ha solo due anni. Sono diari scritti in francese e con una grafia oscura che lascia grande spazio all’immaginazione del visitatore. Seguono sale con schizzi che si richiamano l’un l’altro, abbozzati su spartiti, cartoline, taccuini, lettere, perché anche la carta raffinata a quei tempi era un lusso. Così i suoi nudi, che tanto scandalo destarono nelle gallerie parigine, sono rappresentati da un solo schizzo a matita, che si fa adombrare dalla forza della “Femme au Lit” esposta qualche metro dopo e opera di un grande Toulouse-Lautrec. Prevale ancora una volta sui suoi disegni preparatori, l’impatto che hanno le tre tele di Picasso (“Composizione cubista”, “Papier Colles”, “Ballerini russi”). Solo la “Donna dagli occhi blu” mette a contatto con il Modigliani dei ritratti dell’anima. Quello sguardo scuro come lo sfondo, le linee eleganti, l’esaltazione dell’amore dato e ricevuto solo platonicamente, quello per la sua modella e amica Lunia Czechowska.
Grande curiosità ha suscitato la presenza dell’inedito “Agatae”, un disegno della santa patrona di Catania, che chiude il percorso. Ritrovato recentemente a Londra, si tratta di un disegno realizzato sul retro di una lettera che Modigliani ricevette da un prelato di Noto, che ha sollevato non pochi dubbi tra critici ed esperti d’arte riguardo la sua autenticità. Si obbietta il fatto che Modigliani non abbia mai soggiornato a Catania, che la lettera abbia una data anteriore alla nascita dell’artista, che i tratti della Santa siano troppo precisi e sicuri e che la firma dell’opera sia diversa dalle altre. Gli organizzatori della mostra hanno comunque rassicurato pubblico ed esperti, dichiarandosi certi dell’originalità del disegno.
Insomma, sarà interessante sapere che Amedeo Modigliani aveva sette in latino e in italiano, che la madre teneva un diario e che l’artista disegnava su ogni centimetro di carta che avesse a disposizione, ma la sua anima l’avremmo volentieri cercata nei suoi ritratti, nei suoi oli e nei suoi nudi.
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