Misterbianco, la squadra di Santapaola non molla «Ha dimostrato serietà, è una persona perbene»

«Ѐ come se dal cavallo galoppante, cioè il Comune di Misterbianco, fosse caduto un pidocchio». Nino Di Guardo, a dimissioni avvenute, faceva ricorso alla metafora per parlare, davanti ai giornalisti, del suo ex vicesindaco Carmelo Santapaola. Quattro anni fa come oggi, per l’eterno sindaco di Misterbianco, c’erano sempre da commentare le dimissioni del suo numero due, allora come oggi il re dei quartieri nonché luogotenenente del deputato Ars del Pd Luca Sammartino. Un rapporto tra alti stratosferici e bassi che più bassi non si può, quello fra due dei mattatori politici di una città che ha tributato loro l’ennesima valanga di voti da ultimo nel 2017. Anche grazie a un plotone di candidati consiglieri, molti dei quali in grado di garantire performance al top in quartieri come Lineri, Monte Palma e Belsito. Con qualche eccezione: Alfio Saitta guadagna 78 voti nel 2012 e zero nel 2017, ora coinvolto nell’inchiesta con l’accusa di associazione mafiosa.

Chi invece di voti ne portava parecchi è Giuseppa Gisa Vittorio, veterana del Consiglio comunale, 276 preferenze l’anno scorso, non coinvolta nell’inchiesta e convinta nel difendere, con fede, Carmelo Santapaola. In aula siede nel gruppo consiliare omonimo a fianco del consigliere Gaetano Furia. «Conosco Carmelo da una vita, così come i Placenti, perché sono di Lineri», dice a MeridioNews l’attuale capogruppo di chi, nel senato cittadino, è stato eletto sotto l’egida dell’ex vicesindaco. I Placenti sono Carmelo, Giuseppe Gabriele e Vincenzo, ritenuti dagli investigatori punti di riferimento a Misterbianco della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano spesso intercettati al telefono mentre parlano di voti. «Sono amareggiata ma anche fiduciosa sul fatto che la magistratura faccia presto chiarezza, Santapaola è persona perbene e gran lavoratore per la gente. Dimettendosi ha dimostrato serietà», continua la consigliera. 

Nel 2012, Vittorio era stata eletta con 196 voti nella maggioranza di Nino Di Guardo. Cinque giorni dopo le elezioni di quell’anno, Vincenzo Placenti viene intercettato a bordo di una Fiat Bravo mentre parla, secondo la procura, dei manifesti di ringraziamento fatti affiggere dalla candidata. «Pensavo a lei (..) che ci metteva questo “grazie”! Renditi conto – dice Placenti – e noialtri che ci dobbiamo mettere allora!». «Prego!», gli risponde Saitta, in macchina anche lui. Poi interviene, laconico, il vicesindaco in pectore Santapaola: «Vuole fare la festa nella piazza … Gli ho detto: “Lascia perdere”», aggiungendo nel proseguo della conversazione: «Gli ho detto: “Le nostre cose dobbiamo fare e basta”». «La lista non ha i voti dei clan – replica oggi Gisa Vittorio – Per quelli che ho preso io devo ringraziare solo il mio lavoro». E sulla proposta di scioglimento del Comune per mafia avanzata con forza dal Movimento 5 stelle risponde: «Sono solo parole».

Chi invece, da un po’, ha mollato Carmelo Santapaola è un altro volto da centinaia di voti: Turi Scaletta, anche lui del tutto estraneo all’inchiesta, oggi alfiere della Lega nel Catanese e candidato alle Regionali, alle Politiche e infine alle Comunali di Catania. Oltre 200 voti, cinque anni fa, nella lista Santapaola, poi diventati 300 e passa nel 2017. Il legame, malgrado il tempo passato assieme, si spezza alla fine in pochi mesi. «Non mi trovavo bene in quella situazione politica – racconta a MeridioNews – e con Santapaola ho rotto, sono un uomo di destra». Scaletta dice di sapere che il centro scommesse sequestrato Orso bianco «apparteneva a Carmelo», ma di mafia non ne aveva vista: «Non avevo idea di chi fossero i Placenti, ma perché non si può mai sapere chi sono le persone con cui si parla». E qualora il ministro Matteo Salvini dovesse chiedergli un parere, Scaletta sarebbe risoluto: «La bufera per il Comune è stata enorme, una doccia fredda che non mi aspettavo, lo scioglimento è l’unica cosa da fare. Oppure voterei la sfiducia a Di Guardo».

Francesco Vasta

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