Migrazione, la presa di posizione del Centro Muni Gyana «Chiediamo a chi arriva cosa vuole fare della propria vita»

«Per noi i porti sono aperti e quei migranti vanno salvati tutti». È questo, in una frase, il progetto Migrazioni Umane, conoscere se stessi per capire gli altri, coordinato dal Centro buddhista di Palermo Muni Gyana e cofinanziato dai fondi dell’8X1000 dell’Unione Buddhista Italiana. Un progetto che è in tutti i sensi una «presa di posizione», per dirla con le parole di Marco Farina, presidente del centro palermitano, che ha simbolicamente la sua sede nel cuore sfregiato di una Palermo che sembra, oggi, assai lontana: Pizzo Sella. Ha significativamente iniziato a muovere i suoi primi passi, il centro, proprio da lì, da quel tempio dell’abusivismo mafioso che si è faticosamente riscattato negli anni. Fino ad aprirsi a quelle realtà che hanno davvero fatto la differenza. Come il Centro Muni Gyana, sempre attento e sensibile a quello che accade al di fuori dei suoi cancelli. Un’attenzione che adesso si fa progetto e che guarda a uno dei temi più attuali dell’oggi, quello appunto delle migrazioni. Sul quale il Centro, già in passato, si è pubblicamente espresso.

Ma che c’entrano i buddhisti coi migranti? Si chiederà forse qualcuno. Quando in realtà di migrazione la loro storia è, in parte, intrisa. O quella, per lo meno, tibetana. Una cultura che proprio il centro di Palermo raccoglie e racconta. Una storia che ci parla da un passato non troppo lontano e che sembra sovrapporsi a quella attuale, a quella diaspora moderna che di diverso ha solo i protagonisti, ma non le loro sorti. La stessa subita dai tibetani alla fine degli anni ’50, costretti dalla repressione cinese a lasciare la terra d’origine per cercare rifugio altrove. Sembra proprio la storia dei troppi disperati che oggi vediamo raccontati nelle cronache di tutti i giorni, vittime di un destino che – dopo chilometri, violenze e torture – spesso culmina con la morte. Una tragedia alla quale oggi in molti assistono con indifferenza, spettatori impassibili di una narrazione a cui ci si è inspiegabilmente abituati. Questi stessi disperati somigliano enormemente a quei tibetani a cui i soldati cinesi sparavano a vista se beccati durante la loro fuga verso una salvezza, verso una vita. Sembrano, quelli di oggi, gli stessi sopravvissuti di allora. Gli stessi morti di allora. Raccontare loro oggi significa passare dalla quella storia. Fare i conti con se stessi, prendere consapevolezza di ciò che si è per poter comprendere l’altro e quindi aprirsi all’altro, accogliendolo, proteggendolo.

«Il progetto nasce dagli insegnamenti di sua santità Dalai Lama, che proprio a Palermo ha detto che “bisogna accogliere, non si lasciano morire le persone in mare e si salva chiunque” – torna a dire Marco Farina -, però una volta che si salvano queste persone, bisogna chiedergli cosa vogliono fare nella vita, se vogliono stabilirsi qui e, se sì, come, impegnandoci per la loro integrazione. Anche il Dalai Lama è stato un migrante, è dovuto scappare dal Tibet, l’obiettivo per i migranti tibetani sarebbe quello di riuscire a tornare a casa, lui perciò ci dice “aiutiamo i migranti a ricostruire la loro casa”. Come? Fornendo loro le competenze, impegnandoci nella formazione sia professionale che teorica di queste persone e contribuire a un percorso di ricostruzione dei paesi d’origine. Nel caso in cui ad esempio ci siano conflitti, impegnarci politicamente affinché vengano risolti, nel caso di una distruzione impegnarsi nella ricostruzione delle case, quindi tenere a valore il concetto che un migrante è sì libero di stare dove poggia i suoi piedi ma tenere anche in conto che chi scappa dalla propria casa comunque vive in una condizione di sofferenza e la nostra responsabilità umana e politica dovrebbe essere quella di ricostruire le loro case d’origine».

Da qui la chiave scelta per il primissimo incontro realizzato nell’ambito del progetto. Il primo di quattro appuntamenti che si snoderanno fino a dicembre, e che prende il via questo weekend. Da oggi, 24 gennaio, fino a domenica 26 gennaio confronti, dibattiti, domande, tecniche meditative e di ragionamento per comprendere la realtà all’interno del centro di Pizzo Sella. Accompagnati da un maestro d’eccezione, Fabrizio Pallotti, studioso e praticante del buddhismo dal 1979, arrivato qui a Palermo per l’occasione. «Nel percorso della saggezza dell’interdipendenza e della responsabilità universale esploreremo insieme come sviluppare le nostre qualità interiori, sia dal punto di vista dell’etica secolare e del buon senso, sia soprattutto dal punto di vista della scienza della mente dell’antica India – spiega lo stesso Pallotti -. Saranno degli incontri bellissimi», annuncia. Interdipendenza e responsabilità universale: questi i termini chiave del primo incontro. Ma che significano? «Che siamo tutti in qualche modo interconnessi – torna a dire Farina -. Già parlare di migrazione significa in qualche modo essere interconnessi coi migranti che provano il viaggio, siamo interconnessi con tutto quello che ci circonda. Dato che siamo interconnessi con tutti gli esseri umani, a maggior ragione abbiamo la responsabilità di salvaguardarli».

Ma, appunto, non solo porti aperti e vite salvate: serve anche pensare al dopo, a cosa ne sarà di queste vite. «Vogliamo dire che oltre all’integrazione c’è una responsabilità di preservare la cultura d’origine, che noi per esempio facciamo coi tibetani attraverso il centro stesso, perché il genocidio del governo cinese è tutt’ora in atto. Cerchiamo quindi di preservarne la cultura, mantenendo la lingua tibetana e il buddhismo tibetano, che è appunto vietato in Cina. Ma c’è anche uno slancio e la voglia di ridefinire quello che dovrebbe essere il supporto al fenomeno migratorio: non solo accogliere, ma impegnarsi per la crescita dello sviluppo di tutti, per ricreare quelle condizioni affinché loro possano tornare a casa, perché il luogo d’origine va ripristinato». E si comincerà da oggi, con questo primo incontro aperto a tutti, dalle 19.00-20.30; mentre gli orari di sabato andranno dalle 10.00 alle 12.30 e nel pomeriggio dalle 15.30 alle 18.00; domenica infine dalle 10.00 alle 12.30. I successivi incontri si svolgeranno dal 19 al 21 aprile, poi dal 18 al 20 settembre e dal 4 al 6 dicembre.

Chi non potrà recarsi a Palermo per questo primo incontro potrà iscriversi e partecipare online. Per chi si trova già in città o prevede di arrivare, l’appuntamento è al Centro Muni Gyana. Per partecipare al corso occorre iscriversi compilando il modulo dedicato cliccando sul seguente link: https://forms.gle/4rnqVjaztYgTkY7r9. Il contributo di iscrizione per tutti e quattro i moduli è di 60 euro. Un progetto ambizioso e inedito, quello coordinato dal Centro Muni Gyana e che, attraverso incontri ed eventi, mira a promuovere un approccio unico alla tematica delle migrazioni. Osservando il fenomeno in sé non in un’ottica di aiuto dall’alto, ma come momento di riflessione e di incontro fra culture, riflettendo anche sulla percezione del fenomeno stesso da parte della popolazione, rispetto a popoli di origine diversa e di promuovere la comunione fra comunità migranti e autoctoni. Le pratiche divulgative e operative del progetto sono mutuate dalla tradizione buddhista, analizzando l’apporto positivo dato dall’incontro delle diverse culture. «La riflessione principale quindi parte dal concetto di orizzontalità e mutuo soccorso, circolarità, incontro e reciproco scambio fra culture», racconta ancora Farina.

Non è la prima volta, in ogni caso, che l’Unione Buddhista Italiana, che ha deciso di finanziare il progetto promosso dal centro palermitano, sostiene i migranti e segue il principio dell’accoglienza. Nella sua storia, infatti, ci sono già solide collaborazioni con altre grandi organizzazioni, come Medici Senza Frontiere per i corridoi umanitari o la Comunità di Sant’Egidio. «Noi interpretiamo questo sostegno come un atto di accoglienza, di compassione e di apertura di fronte alla sofferenza – spiega Filippo Scianna, presidente dell’Unione Buddhista Italiana -, tutto l’insegnamento del Buddha è finalizzato ad arginare o ad eliminare completamente la sofferenza. Accogliere delle persone che sono in difficoltà è un’espressione di questi principi. Riteniamo che tutto questo non abbia una valenza politica, chi vuole vedere una valenza politica è libero di farlo, ma non ci appartiene questa cosa. Noi seguiamo il principio dell’aiutare chi è in difficoltà, non è un atto di destra o sinistra, il buddhismo viene prima di destra e sinistra, siamo fuori da questo dibattito».

Ma come raccontarsi e raccontare questo aspetto a chi del buddhismo non sa niente? «Per questo ci sono i centri, come quello di Palermo, che fanno un’opera di divulgazione e preservazione nel territorio dell’insegnamento del Buddha – spiega il presidente Scianna -. Oggi, poi, la possibilità di informarsi è aumentata. Il Dalai Lama, per altro, ha parlato di questo tema proprio durante la sua visita a Palermo. Chi è animato da un’autentica volontà di conoscere e di capire lo può fare senza problemi, chi invece si vuole fermare a un aspetto di facciata e strumentalizzare la cosa..è una cosa comune dei nostri tempi, siamo compassionevoli anche nei confronti di queste persone. Siamo rispettosi dell’opinione di tutti, sappiamo che è più facile che queste operazioni vengano poi trasformate e  strumentalizzate a livello politico, non siamo ingenui, ma d’altro canto questi sono i nostri principi e valori espressione della nostra tradizione, quindi andiamo avanti senza problemi e sempre all’insegna del rispetto di tutti».

Silvia Buffa

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