Da oggi le organizzazioni non governative impegnate nel Mediterraneo riceveranno un trattamento diverso. È stato questo in soldoni l’annuncio del governo italiano, alla fine dell’ultima tappa del percorso che ha portato alla redazione del codice di condotta che il Viminale ha deciso di attuare per regolamentare i comportamenti delle Ong, dopo le polemiche degli ultimi mesi con le allusioni – in alcuni casi alimentate anche da qualche Procura – a presunti rapporti con i trafficanti di esseri umani.
Ad apporre la firma in calce ai 13 punti del codice non sono state tutte le organizzazioni. Una decisione che ha suscitato la reazione del ministro degli Interni, Marco Minniti, che ieri sera con una nota ha fatto sapere che la mancata adesione «può comportare l’adozione di misure da parte delle autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane, garantendo nel contempo un’accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori». Il Viminale ha poi sottolineato che l’essersi tirati fuori metterà le Ong «fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse». Tra le conseguenze possibili è immaginabile adesso una maggiore ristrettezza nel campo dei controlli alle imbarcazioni usate dalle Ong e una possibile differenza di trattamento per quanto riguarda l’attracco nei porti italiani, con le organizzazioni che potrebbero essere considerate alla stregua delle altre navi – per esempio i mercantili – che capita soccorrano migranti in difficoltà, pur non avendo nelle attività di Sar il motivo principale del loro stare in mare.
Tra chi si è astenuto a fare più scalpore è stato Medici senza frontiere. «Tutti i punti non problematici del codice – ha assicurato il direttore generale Gabriele Eminente – saranno rispettati come abbiamo sempre fatto. Abbiamo apprezzato l’approccio costruttivo del ministero, ma il documento non sottolinea che il nostro obiettivo è salvare vite e poi ci sono due punti in particolare che non ci consentono di firmare: la polizia a bordo e il possibile divieto di trasbordo su altre navi delle persone soccorse». I motivi di questa presa di posizione sono stati esplicitati in una lettera indirizzata al ministero: «Questa modalità di organizzazione riduce la presenza di assetti navali nell’area Sar – si legge in merito al divieto di trasbordo -. e comporta aggravi non necessari alle navi di soccorso non predisposte per operare regolarmente i trasferimenti a terra delle persone. Nell’esperienza degli ultimi due anni, le navi più piccole hanno spesso fornito un contributo essenziale alle operazioni. Il codice mette a rischio questa fragile equazione di collaborazione, comportando il rischio che le più piccole siano costrette ad abbandonare frequentemente la zona di ricerca e soccorso». Sulla presenza della polizia, invece, il problema riguarderebbe il rischio di «ridurre la percezione di Msf come organizzazione medico‐umanitaria effettivamente indipendente e imparziale».
A rifiutarsi di firmare l’accordo è stata pure la Ong tedesca Jugend Rettet, mentre decisione diversa è stata presa da Save the children che ha fatto sapere che «la decisione di firmare è arrivata dopo una valutazione all’interno dell’organizzazione, a livello nazionale e internazionale, ed è unicamente dettata dalla volontà di garantire continuità alle operazioni di salvataggio, in modo trasparente e ristabilendo il giusto clima di fiducia e collaborazione». Save the children ha poi aggiunto che «il divieto di trasbordare i migranti da una nave a un’altra» avrebbe potuto creare problemi, ma «si è risolto con il ruolo che svolgerà la guardia costiera».
Se questre tre Ong hanno comunicato la propria decisione presenziando all’ultima riunione, le altre sei che operano nel Mediterraneo hanno disertato la seduta. Tuttavia tra esse c’è chi ha già fatto sapere di essere intenzionata ad adottare il codice di condotta. Come la spagnola Proactiva Open Arms e la maltese Moas. «Moas – ha detto Christopher Catrambone – ha firmato questo documento in solidarietà con il governo e il popolo italiano, gli unici in Europa che si impegnano ogni giorno per permettere a organizzazioni come la nostra di far fede alla propria missione umanitaria. La priorità per Moas è dal 2014 quella di impedire inutili morti in mare, e se firmare il codice di condotta rappresenta l’unica via legale per permetterci di perseguire questo obiettivo, allora Moas non può e non deve tirarsi indietro». Assenti e senza avere comunicato decisioni in senso positivo, invece, Sea Watch, Sea-Eye e Sos Mediterranée.
Il nuovo codice di condotta prevede 13 impegni: non entrare nelle acque libiche, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo e non ostacolare l’attività della guardia costiera libica; non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione; non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti; attestare l’idoneità tecnica per le attività di soccorso; avere capacità di conservazione di eventuali cadaveri; informare il proprio Stato di bandiera quando un soccorso avviene al di fuori di una zona di ricerca; tenere aggiornato il centro di coordinamento marittimo sull’andamento dei soccorsi; non trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del centro di coordinamento; informare costantemente lo Stato di bandiera dell’attività intrapresa dalla nave; cooperare con il centro di coordinamento eseguendo le sue istruzioni; ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico; dichiarare le fonti di finanziamento alle autorità dello Stato in cui l’Ong è registrata; cooperazione leale con l’autorità di pubblica sicurezza del previsto luogo di sbarco dei migranti; recuperare, una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile, le imbarcazioni improvvisate e i motori fuoribordo usati dai trafficanti di uomini.
Ovvero per la maggior parte attività che le organizzazione non governative e la guardia costiera hanno finora assicurato di fare dall’inizio della loro messa in mare. E che dunque – fatta eccezione per la possibile presenza della polizia a bordo – potrebbero non determinare modifiche profonde a quanto finora accaduto nel Mediterraneo.
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