Migranti, il ministero annuncia un hotspot in città L’esperto: «Orlando nega, ma gioca con le parole»

«Sono solo giochi di parole. Orlando non vuole riconoscere che nella sua città, la città dell’accoglienza, si fa un hotspotma i fatti gli daranno torto». Così Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero dell’università di Palermo e componente dell’Adif (Associazione diritti e frontiere), bolla le affermazioni del sindaco Leoluca Orlando che in una nota nega la possibilità che entro giugno venga creato un hotspot a Palermo. Uno scenario che in realtà è stato annunciato da una voce autorevole: Gerarda Pantalone, a capo del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno.

La spiegazione del primo cittadino è che si tratterà soltanto di «una struttura di supporto alle operazioni di prima identificazione dei migranti che arrivano nella nostra città». Cosa diversa dagli hotspot, secondo Orlando, che dice di rifiutare la logica di questo modello di accoglienza «che nel tempo ha dato luogo a degenerazioni ben note, legate alla privazione delle libertà individuali e alla mortificazione delle persone». Il problema però sta a monte, secondo il docente Vassallo Paleologo: «Si tratta di riconoscere che gli hotspot non sono solo centri chiusi, ma anche aree attrezzate di sbarco come quella di Augusta, previste da circolari ministeriali, sottratte da ogni controllo giurisdizionale e legale». Per il professore, quindi, il Comune di Palermo non ha colto la gravità delle ripercussioni che l’istituzione di un centro simile potrà avere: «Finché si è realizzata la tensostruttura al porto si può anche capire che il tendone servisse per non fare stare la gente all’addiaccio ma, se le persone rimangono per giorni senza avvocati, senza informazioni e senza giudice, quello si chiama hotspot». 

Le precisazioni di Orlando sono arrivate dopo le parole del capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Gerarda Pantalone, alla commissione nazionale Migranti dove aveva annunciato la sua realizzazione entro tre mesi. Pantalone avrebbe già individuato anche l’area, messa a disposizione dall’Agenzia per i beni confiscati alle mafie. E tempi esigui di realizzazione della struttura a monte dello svincolo di via Oreto, secondo la Prefettura farebbero ipotizzare una possibile collocazione di prefabbricati. Anche perché al momento su quel terreno non c’è nulla: solo un po’ di cemento e una recinzione. La struttura che nascerà è comunque necessaria, secondo la Prefettura panormita. Anche se, secondo l’Adif, gli sbarchi a Palermo non sono tanto frequenti da giustificarne l’apertura

Anche a fronte delle caratteristiche degli hotspot. «Strutture chiuse con un fortissimo controllo di polizia all’esterno e all’interno, e con divieto assoluto di ingresso anche per i giornalisti». A fronte di un limite di permanenza di 48-72 ore dopo lo sbarco, «se le persone non vengono portate in un centro di accoglienza, possono essere raggiunte da un decreto di respingimento differito e rimesse in strada, senza documenti. Gli hotspot insomma sono fabbriche di clandestinità». Con i migranti che spesso finiscono sotto i portici, nei centri cittadini, come quello di Biagio Conte, o in viaggio verso il Nord. E spesso si tratta di potenziali richiedenti asilo. Per smistarli, al momento dello sbarco, si fa compilare loro un foglio notizie di cui spesso non capiscono il contenuto. «Basta che ci sia scritto che si è venuti per cercare lavoro e si può finire in un hotspot». E spesso il lavoro di informazione di organizzazioni come Save the Children, Acnur e Oim non basta. «Faremo di tutto affinché gli abusi cessino – conclude Vassallo Paleologo – Dove per abusi s’intende l’interruzione di prassi non sorrette da leggi». 

Stefania Brusca

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