Migranti a Catania, 25 identificati e liberi L’esperto: «Regime informale fuorilegge»

Sono 169 i migranti di origine siriana, palestinese ed egiziana chiusi da ieri mattina al Palaspedini, la struttura sportiva adiacente allo stadio Angelo Massimino. Si rifiutano di farsi identificare, perché nei loro progetti non c’è l’Italia. Vorrebbero raggiungere il Nord Europa e lì presentare la richiesta di asilo politico. Erano 263 quelli arrivati al porto di Catania martedì 8 ottobre: 69 minori non accompagnati sono stati trasferiti nelle comunità idonee ad ospitarli, mentre 25 persone, tra cui diversi nuclei famigliari, hanno accettato di lasciare le impronte al loro arrivo sul molo di Mezzogiorno. Sono stati i primi, già nel pomeriggio di martedì, ad essere accompagnati al Palaspedini. Ma ci sono rimasti solo per una notte. Ieri mattina sono stati lasciati andare. «Sono stati identificati, ma non hanno voluto avviare la procedura per la richiesta di asilo – spiega un dirigente della polizia all’ingresso dell’impianto sportivo – non sono più clandestini, perché in quanto siriani possono essere considerati dei rifugiati».

Informazione in realtà parziale e per certi versi errata. «Essendo stato accertato che provengono dalla Siria, non possono essere espulsi visto il contesto di guerra del loro Paese, ma per diventare dei rifugiati devono presentare una richiesta», spiega Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero all’Università di Palermo. Quello che sta avvenendo nella Sicilia Orientale, in particolare a Siracusa, Pozzallo e Catania, è per il professore «al di là della legge». «Si è creato un regime informale in cui di fatto le norme non vengono più rispettate», sottolinea Vassallo. Un sistema che fa acqua da tutte le parti e che in qualche modo solleva da responsabilità le forze dell’ordine e lo Stato italiano e, per certi versi, conviene anche ai migranti. «Quello che è accaduto ieri ai 25 siriani identificati e lasciati andare a Catania non è normale – analizza l’esperto – senza una formale richiesta di asilo rimangono irregolari e sarebbero destinati o ai Centri di identificazione ed espulsione o destinatari di un’intimazione ad abbandonare entro 15 giorni il territorio nazionale. Andavano rilasciati quantomeno con un permesso di soggiorno per motivi umanitari».

Ma l’informalità di questo regime permette anche la detenzione prolungata e ingiustificata dei migranti. «Le forze dell’ordine non possono trattenere per più di 24 ore le persone che non vogliono farsi identificare, dopo un giorno servirebbe la convalida da parte di un magistrato», aggiunge Vassallo. Tempo che, nel caso dei siriani attualmente al Palaspedini, scadrebbe proprio oggi. Tempo ampiamente scaduto, invece, per i migranti rimasti nelle settimane scorse per dodici giorni all’interno del Palacannizzaro.

In generale la confusione, secondo il professore, è figlia del clima generale di sfiducia da parte dei migranti nella macchina di accoglienza italiana e della mancanza di mediatori culturali e avvocati capaci, a fianco delle forze dell’ordine al momento degli sbarchi. I siriani sono convinti che, una volta lasciate le impronte in Italia, nel nostro Paese debbano anche restare come rifugiati. Non cedono nemmeno davanti alla possibilità di ricongiungersi con un fratello, come successo ieri al porto. Una convinzione suffragata da quanto afferma la Convenzione di Dublino II. Ma recentemente alcune sentenze dei tribunali amministrativi tedeschi hanno minato questa certezza.

«Il 9 luglio 2013 il tribunale di Francoforte ha bloccato il trasferimento verso l’Italia di un richiedente asilo afghano di 24 anni, a cui in Puglia erano state prese forzatamente le impronte digitali mentre si trovava in ospedale», spiega Vassallo. Le autorità tedesche, d’accordo con quelle italiane, avevano avviato il trasferimento in Italia, bloccato dalla decisione dei giudici che hanno anche ammesso la richiesta di asilo politico del ragazzo in Germania. Nella sentenza, scrive Vassallo in un articolo apparso sulla rivista Questione giustizia, si legge che il ritorno nel nostro Paese, «alla luce delle carenze sistematiche nel sistema di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia», avrebbe violato «il divieto di trattamenti inumani o degradanti affermato dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, fonte primaria di diritto dell’Unione che tutti gli stati sono tenuti a rispettare».

Salvo Catalano

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