Torno ancora una volta – la terza, se non erro – sul tema della limitazione degli accessi ai corsi di laurea. Il cosiddetto numero chiuso o programmato. Non avendo cambiato idea ripropongo le stesse riflessioni. Nella vita non c’è peggior condanna dei rimpianti. Un giovane accarezza il sogno di fare una determinata professione. Se non ci può nemmeno provare gli resta un terribile amaro in bocca. Nasce in lui un rimpianto. Ecco perché ho sempre detestato l’istituto del «numero chiuso».
Lo vedo come un generatore di rimpianti. L’amarezza degli esclusi aumenta – nel comune sentire – perché l’accesso può dipendere dalla risposta ad un quiz. Il sistema dei quiz è certamente trasparente. Non garantisce però, fino a prova contraria, la selezione degli studenti con maggiori attitudini. Non coglie i talenti. Il comune sentire, insomma, non riconosce alla combinazione numero-chiuso/selezione-attraverso-quiz un solido fondamento etico. Sulle prove, inoltre, si accendono ogni anno i riflettori dei media. Con stuoli di giornalisti ed avvocati fuori alle aule. In attesa di cogliere in ogni piccola disfunzione una manifestazione di inefficienza o, peggio, di sopruso. Questo clima crea ansie aggiuntive. E per organizzare e svolgere bene le prove occorre serenità. Dobbiamo essere consapevoli che la motivazione della limitazione degli accessi è di carattere esclusivamente pratico. E può avere varie origini. Regole europee. Norme sulla sicurezza che fissano in modo rigido il numero massimo di persone che possono essere accolte in un impianto. Numero dei docenti di ruolo non sufficiente. Carenza di aule, di spazi per laboratori o biblioteche Tutti argomenti fondati. Che, so bene, non cancellano l’amarezza di chi non ce la fa.
Un ragazzo respinto ad un esame magari critica il docente troppo severo. O se la prende con la malasorte. Ma a mente fredda accetta l’esito. Sa bene essere indispensabile che qualcuno accerti la sua preparazione. I professionisti impreparati fanno enormi danni. In sintesi il ragazzo riconosce che alla base dell’«esame» vi è un fondamento etico. Veder negata la possibilità di esser messo alla prova lascia invece la sensazione dell’iniquità. Figurati se poi sei escluso perché non ricordi di quale colore erano i calzini dell’Azzeccagarbugli. È quindi inevitabile che nascano dubbi e polemiche. Ad esempio molti si chiedono se taluni «numeri chiusi» ridottissimi non nascano dalla mera difesa di interessi corporativi.
Immaginiamo di essere ne «La città del sole». Due gli scenari possibili. Il primo. Ogni ragazzo ha il diritto di mettere alla prova le proprie capacità nel campo in cui ritiene di essere versato. L’altro governato da una inflessibile programmazione. Si forma in ogni campo esattamente il numero di laureati necessario. Nulla è lasciato alla fantasia. All’ambizione individuale. Ovviamente ne «La città del Sole» questo secondo scenario sarebbe ammissibile solo in presenza della piena occupazione. Non ti consento di fare il medico o addirittura di frequentare l’Università. Però ti garantisco il lavoro. Personalmente preferirei comunque il primo scenario. Quello che esalta la libertà individuale. E non evoca grigie atmosfere già tristemente sperimentate.
Comunque non viviamo ne «La città del sole». Bensì in un mondo reale. Alle prese con la carenza degli spazi, la legge sulla sicurezza… Qualcosa va comunque fatto. Da un lato è opportuno correggere il tipo di selezione cui si ricorre oggi. Dall’altro elevare il numero dei posti disponibili. Tutte le volte che ciò si può fare senza violare la legge. E senza ingannare gli studenti. Magari dando qualche dolore a corporazioni troppo restrittive. Certo non si risolve il problema. Ma lo si attenua.
Per finire un ultima osservazione. Come sempre i giovani provenienti da famiglie con scarse possibilità economiche ricevono il danno maggiore. Non possono sostenere esosi ricorsi al Tar. Né perdere un anno in attesa di «riprovarci» l’anno successivo. Né permettersi costosi «corsi di preparazione alla soluzione di quiz». (Per incidens: tenere un ragazzo di diciotto anni impegnato per tutta l’estate a mandare a memoria i quiz più «curiosi» non andrebbe classificato come un crimine contro l’umanità?). La limitazione degli accessi è in sintesi come una medicina amara, anche se talvolta indispensabile da ingurgitare. Facciamo ogni sforzo per renderla il meno amara possibile.
Da “Il Mattino”
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