Li chiamano ricorrenti, soprannumero, ammessi con riserva o, più comunemente, quelli che hanno fatto ricorso al Tar. Loro definiscono la situazione che vivono da alcuni mesi «un girone dantesco». Sono gli oltre 500 studenti che sono stati ammessi a Medicina e Odontoiatria a Catania dopo aver contestato la graduatoria nazionale. Una sentenza del Tar del Lazio ha dato loro ragione: nel test nazionale svolto ad aprile 2014 l’anonimato non è stato garantito. Così, da novembre, in circa diecimila in tutta Italia sono stati integrati. Ma sulle loro teste pende la decisione definitiva che per il caso etneo arriverà quasi un anno dopo, a dicembre. Nel frattempo «sosteniamo esami, paghiamo le tasse, compriamo i libri, seguiamo le lezioni», elenca con un sorriso Maria. Il suo nome, come quello dei «colleghi di sventura», è di fantasia a causa del clima non proprio sereno all’interno del dipartimento.
Gli scorrimenti degli elenchi sono andati avanti fino a marzo, ma il gruppo più consistente ha fatto ingresso nel dipartimento catanese a novembre. Scatenando scontento tra le matricole ammesse dopo aver superato il test e anche qualche resistenza tra i docenti. «I primi giorni ci dicevano che dovevamo uscire dall’aula, perché non eravamo coperti dall’assicurazione». Per un mero errore burocratico, infatti, la sentenza del Tar viene trasmessa senza l’elenco completo dei ricorrenti in calce e dalle segreterie parte la richiesta di effettuare gli appelli, con l’indicazione di mettere alla porta i ricorrenti. «Molti professori, però, ci davano il loro sostegno. Qualcuno evitava di fare l’appello», riconosce Carla.
Quando viene ufficializzato il temporaneo ingresso degli studenti soprannumero, segnalati in un elenco con i nomi sottolineati in rosa, si pone il problema della loro frequenza. «A Medicina e a Odontoiatria è obbligatoria – chiarisce Carla – Abbiamo la possibilità di assentarci solo per il 30 per cento sul totale delle ore. Le lezioni sono iniziate il 14 ottobre, noi siamo stati ammessi il 4 novembre». Da quel momento, dunque, i 600 studenti hanno dovuto limitare al minimo le assenze, pena l’impossibilità di poter sostenere l’esame se non dopo la frequenza di un corso di recupero. «Siamo andati in aula anche quando c’era il temporale, con l’allerta meteo. Qualcuno ha dovuto fare il recupero per aver sforato di una sola ora – afferma Maria – Ma anche in questo caso, molti professori ci sono venuti incontro quando possibile».
Non capisco come un test possa dire se si è preparati o meno, se uno può frequentare o meno Medicina
Alla conclusione del primo semestre, nonostante qualche difficoltà logistica, «il sistema sembra che abbia retto», dice Maria. Il gruppo degli ammessi si tiene in stretto contatto, fa fronte comune «perché siamo tutti nella categoria degli incerti – sottolinea Giovanni – Un po’ di discriminazione nei nostri confronti c’è, anche tra noi studenti. E poi qualche docente non ha fatto mancare le battute». Come hanno scritto in una lettera consegnata alla ministra Maria Elena Boschi, «in questi mesi siamo stati trattati come gli ultimi, quelli che avevano la possibilità di studiare solo grazie ad una sentenza amministrativa, quelli che causavano disagio all’università, diversi solo perché non tutti avevamo la possibilità di poter investire migliaia di euro per un corso di preparazione». «Ci sono professori e colleghi che si sentono in diritto di poter giudicare – sbotta Luca – Giudicano me, che nel frattempo ho preso una laurea triennale e ho una media del 29. È pazzesco che cerchino di farci sentire in colpa». «Tra noi, tutti abbiamo dato almeno una materia e qualcuno è già passato al secondo anno», precisa Carla. «Significa che meritiamo di stare qui», le fa eco Maria.
Merito. È la parola che spesso ritorna nei discorsi di questi studenti dalla situazione giuridica anomala. «Io ho provato per sei volte il test», spiega Carla. Nel frattempo, scelta molto comune in casi del genere, si è iscritta in un’area affine. In alcuni casi ci sono studenti che hanno iniziato il percorso all’estero, Romania e Spagna soprattutto. «Abbiamo colleghi che vengono da Biologia, Farmacia, Professioni sanitarie», alcuni dei quali hanno anche ottenuto la laurea triennale e in alcuni casi anche la specialistica. «Ma quello che voglio fare è Medicina – si infervora la studentessa – e non riesco a capire come un test, basato su regole assurde, possa fermarmi». Negli anni passati in attesa di una graduatoria favorevole, sono molti i racconti impressi nella sua memoria. Dalle domande bizzarre – «cos’è la mosca cocchiera, questa non la potrò dimenticare» -, alle irregolarità viste durante le prove, tra telefoni cellulari e disposizioni in aula non proprio rigorose. E poi il tempo: «Un minuto e mezzo per domanda, 60 quesiti».
«Io ho provato una prima volta e non sono riuscito a entrare», racconta Giovanni. Che spiega come abbia iniziato il suo percorso accademico fuori dalla sua città, per poi decidere di tornare a Catania. «Voglio fare il medico e voglio diventare grande nella mia città», dice con forza. Grazie al ricorso, «ho potuto realizzare un desiderio che avevo da tempo – spiega Luca – Non è un obiettivo che inseguo per lo stipendio. È quello che intendo realizzare nella mia vita e non capisco come un test possa dire se si è preparati o meno, se uno può frequentare o meno Medicina».
Per i prossimi mesi, oltre a quella di una normale vita da matricole, si aggiunge la tensione in vista del pronunciamento definitivo della magistratura sulla loro vicenda. Per Luca «è assurdo che dobbiamo aspettare fino a dicembre. Sto investendo anche economicamente nel mio futuro senza sapere quello che succederà tra qualche mese». Secondo un rapido calcolo fatto all’interno del gruppo dei ricorrenti, sarebbe di quasi un milione di euro l’ammontare inatteso derivante dalle tasse che l’ateneo di Catania incasserà quest’anno, tenendo conto che nessuno dei ricorrenti ha potuto fare richiesta di accedere a borse di studio. Per questo chiedono l’intervento del rettore, Giacomo Pignataro, che potrebbe sanare la loro posizione grazie a un decreto. «Magari», sospirano un po’ tutti.
«Io i primi tempi non riuscivo nemmeno ad aprire i libri – confessa Carla – Ogni volta che accedo a Internet ho il timore di leggere qualche notizia che riguardi il nostro ricorso», afferma con una risata nervosa. «I nostri genitori vivono con il terrore – conclude Maria – Dopo una vita di prove, fallimenti, adesso la speranza di essere rientrati… Pensare che possiamo essere buttati fuori è tremendo».
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