Suonano le sirene delle imbarcazioni. Urla, lacrime, felicità. Per Mazara del Vallo è un giorno di festa. In cielo tanti palloncini, verdi, bianchi e rossi a simboleggiare la bandiera italiana. Un lungo applauso ha accompagnato l’ingresso dei motopesca Medinea e Antartide scortati dalle motovedette della guardia costiera. Sotto la pioggia battente, esplode la gioia dei familiari dei 18 marittimi, liberati dopo 108 giorni di prigionia all’interno delle carceri di Bengasi, in Libia.
Le lacrime rigano il volto di Rosetta Ingargiola, la mamma del comandante del Medinea Pietro Marrone. «Finalmente è finito tutto», dice. «È la fine di un incubo», gli fa eco Pietro Giacalone, papà del comandante dell’Antartide. Pietro, Giacomo, Hedi, Ilyesse, Dino, Michele, Mohammed, Giri Indra, Giovanni, Farth, Sarr, Bavieux, Vito, Fabio e Hebib si affacciano, applaudono, ringraziano, salutano i familiari. «Grazie, grazie a tutti. Tutti siamo stati grandi – urlano – Ci avete salvato la vita».
«Vi porto i saluti di tutta la città», risponde il sindaco Salvatore Quinci. «Voi non potevate saperlo – aggiunge il primo cittadino – le vostre mogli, i vostri fratelli, padri, madri, hanno fatto cose incredibili. In questi giorni non siete mai stati soli». Ad accogliere i pescatori, anche il prefetto di Trapani Tommaso Ricciardi: «Nei limiti delle mie competenze – dice ai microfoni dei cronisti – mi farò portavoce con il Governo centrale e con quello regionale. È necessario garantire una maggiore sicurezza a queste persone che attraversano il mare per lavorare. Si può e si deve fare di più».
Prima di potere finalmente riabbracciare i familiari, tutti e 18 i pescatori sono stati sottoposti al tampone rapido, risultato per tutti negativo e al test molecolare, il cui esito arriverà nei prossimi giorni. Terminate le procedure sanitarie, lentamente i pescatori hanno cominciato ad abbandonare il porto nuovo per fare rientro nelle proprie abitazioni, dove trascorreranno il periodo di quarantena, così come previsto dalle norme anti-Covid. Quattro di loro, due indonesiani e due senegalesi – che non hanno parenti a Mazara del Vallo – verranno ospitati in un albergo o una casa vacanza individuata dal Comune.
«Spero di dimenticare tutto in fretta – dice il comandante Pietro Marrone, affacciato dal finestrino della sua auto – non ci hanno maltrattato fisicamente ma psicologicamente ci hanno distrutti». «Ci hanno trattati male male male – dice Onofrio Giacalone poco fuori dall’ingresso del porto – Difficile dimenticare, le celle al buio, il cibo, gli spari in aria, ci hanno trattati come animali». Palesemente commosso l’armatore del Medinea Marco Marrone. «Che questa nostra vicenda sia da esempio per fare cambiare le cose», afferma prima di andare via.
L’incubo per l’intera città di Mazara del Vallo è cominciato il primo settembre quando i pescherecci Medinea e Antartide, con a bordo 18 uomini di equipaggio (italiani, tunisini, senegalesi e indonesiani) sono stati sequestrati dalle milizie del generale Haftar. Oltre tre mesi di prigionia, costellati da presidi di fronte al Parlamento a Roma, appelli e infine l’occupazione dell’aula consiliare del Comune di Mazara del Vallo. Un incubo finito giovedì scorso, dopo l’arrivo in Cirenaica del premier Giuseppe Conte e il ministro degli esteri Luigi Di Maio. Un intervento che ha sollevato un vespaio di polemiche.
Oggi, però, è il giorno della gioia. «Adesso è necessario avviare un serio dialogo con tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo – ha sottolineato il deputato tunisino Sami Ben Abdelaali, presente anche lui al Porto nuovo – bisogna anche mettere dei limiti e capire quali sono le acque territoriali e quelle internazionali – ha continuato – in questo senso non si può continuare. È inaccettabile quello che hanno dovuto subire le famiglie e i pescatori. Il parlamento che io rappresento, quello tunisino, è vicino a tutti i pescatori non solamente quelli tunisini. Siamo una comunità unita – ha concluso – e oggi dobbiamo esserlo ancora di più».
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