Mauro De Mauro la riflessione di mio padre sulla galleria Notarbartolo

Certe volte è un particolare: un oggetto, un pensiero, un ricordo. Improvvisamente, la mente ritorna ai fatti del passato. Mi è capitato incontrando un amico e collega, Franco Nicastro, autore di un libro su Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano L’Ora di Palermo scomparso misteriosamente la sera del 16 settembre del 1970.

Non scrivo mai articoli in prima persona. Ma questa volta sono obbligato a farlo. Perché racconterò, mettiamola così, un fatto di famiglia. Una testimonianza minima, forse – anzi sicuramente – ininfluente. La racconto perché, dopo avere incontrato Franco Nicastro, e dopo avere parlato con lui del suo libro: “Mauro De Mauro – Il Grande depistaggio”, ho ritrovato tra le carte di una vecchia agenda un appunto. Un pezzo di carta, niente di particolare. Una scritta semplice, di mio pugno: “Approfondire vicenda De Mauro”.
Ho ricostruito mentalmente la storia di questo appunto che oltre trent’anni fa ho abbandonato. E c’era anche un motivo: gli esami erano alle porte e mio padre mi aveva detto: “Per ora studia, poi ne parliamo”. E alla mia insistenza mi aveva risposto: “Non c’è alcuna notizia. E’ solo una mia idea”.
Già, una sua idea. Ricordo ancora la mattina in cui sono venuto a conoscenza di questa sua “idea”. Era il 1978. Ricordo l’anno con precisione perché avevo iniziato da poco tempo a collaborare con un mensile universitario: Universitas. Il mio primo giornale. Impossibile dimenticarlo. Mio padre mi prendeva in giro. La mia passione per il giornalismo non lo convinceva molto. Mi vedeva agronomo.
Quella mattina – era una domenica mattina – mi ero svegliato più presto del solito. Aperta la stanza da letto mi sono diretto meccanicamente verso la cucina. Ricordo ancora oggi, perfettamente, il profumo del brociolone in cottura di certe domeniche mattina. Quella era una domenica mattina da brociolone.
Un attimo prima di mettere piede in cucina ho sentito mio padre che diceva a mia madre: “L’hanno preso e l’hanno portato nel cantiere dove era in costruzione la galleria Notarbartolo. Da viale delle Magnolie al cantiere, a quell’ora, avranno impiegato pochi minuti. Con molta probabilità, quando lo hanno portato lì era già morto”.
“Chi?”, chiesi entrando in cucina.
“Mauro De Mauro”, mi rispose mio padre. Che aggiunse: “Adesso non fare il giornalista. Questa cosa tienitela per te. Anche perché è solo una mia supposizione”.
Ricordo che domandai a mio padre: “Ti hanno spifferato qualcosa o, come dici, è una tua supposizione?”.
Mio padre, in Sicilia, soprattutto negli ambienti politici e giudiziari, era piuttosto conosciuto. Era un funzionario regionale. Prestava servizio nel corpo ispettivo dell’amministrazione regionale. Veniva inviato dal Governo della Regione siciliana nei Comuni, negli ospedali e, in generale, negli enti pubblici. Insomma, dove c’erano ‘rogne’ da risolvere mandavano lui.
Mio padre – che si chiamava Amindore Ambrosetti – era un uomo conosciuto. Che della Sicilia conosceva tante cose. La mia domanda aveva una ragion d’essere.
Quella mattina – conoscendolo – mio padre mi sembrò sincero: “No, che spifferato – mi rispose -. E’ una mia supposizione. Per caso, due giorni fa, sono andato a trovare un mio amico notaio. Quando sono arrivato era occupato. Sono rimasto ad aspettarlo in una stanza attigua. Sul tavolo c’era un giornale. E ho cominciato a leggerlo. C’era un articolo su Mauro De Mauro”.

(CONTINUA A LEGGERE)

Giulio Ambrosetti

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