Potrebbe essere Facebook a fornire elementi utili sulla morte di Mario Biondo, il cameramen palermitano trovato senza vita nel maggio del 2013 nella sua casa di Madrid (in Spagna) dove abitava con la moglie Raquel Sanchez Silva, nota giornalista e conduttrice televisiva spagnola. Dopo la richiesta di archiviazione del caso come suicidio – tesi a cui i familiari non credono e si oppongono da sempre – la procura generale, che aveva avocato le indagini, ha scritto all’amministrazione del social network. L’obiettivo della richiesta fatta alla sede di Dublino (in Irlanda) è quello di risalire all’identità di chi, in possesso della password per accedere al profilo personale di Biondo, si sarebbe collegato con il cellulare al Wi-fi dell’abitazione del giovane anche il giorno della sua morte.
Qualora dal social network non dovessero arrivare risposte, la procura generale potrebbe rinnovare l’istanza anche attraverso una rogatoria internazionale. Gli accertamenti sono stati avviati, nonostante la richiesta di archiviazione pendente davanti al giudice per le indagini preliminari, dopo che la difesa della famiglia Biondo ha depositato una serie di indagini difensive compiute da un pool di consulenti italo-americani della società Emme Team. Il gruppo di esperti, infatti, aveva scoperto che dall’account di Biondo proprio il giorno della morte erano stati fatti diversi accessi. Dalle indagini sarebbe emersa anche la presenza di altri dispositivi, oltre a quelli della vittima, da cui sarebbero stati controllati messaggi e altri contenuti. Anche su questo aspetto, adesso la procura ha chiesto chiarimenti a Facebook.
Nella corposa memoria depositata dagli esperti italo-americani, viene denunciata pure una serie di incongruenze nelle conclusioni del consulente dei pubblici ministeri secondo a partire da quella secondo cui Biondo non utilizzava profilo social ed email dal 2011. Cioè due anni prima di essere trovato impiccato con una pashmina alla libreria del salotto del suo appartamento spagnolo. La società sostiene invece di avere trovato migliaia di pagine di dati, messaggi, post della vittima e tutti gli indirizzi IP di chi controllava i profili social del videomaker palermitano, anche la notte della sua morte. Inoltre, nei mesi scorsi, le indagini difensive hanno svelato che all’ora del decesso, Biondo sarebbe stato in casa con il telefono e il computer connessi al Wi-Fi e, nello stesso tempo, a oltre un chilometro di distanza, avrebbe pagato una consumazione di un cocktail in un bar utilizzando la sua carta di credito che non è mai stata trovata.
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