Marco il danese, episodi violenti contro i nonni Legale: «Tornerà in carcere, ma gli servono cure»

Torna in carcere Marco Lalicata, noto a Catania come Marco il danese per le sue origini. Dopo l’arresto dello scorso 20 ottobre, quando finì in manette per l’aggressione e la violenza sessuale ai danni della sua compagna, e la permanenza nel carcere di piazza Lanza, il giudice aveva concesso i domiciliari anche in considerazione delle condizioni di salute mentale del ragazzo. Una scelta per la quale si erano resi disponibili gli anziani nonni, residenti a Mineo, nel Calatino. Proprio loro, secondo quanto riporta la polizia di Catania, avrebbero denunciato «l’indole violenta e prevaricatrice dell’uomo» che li avrebbe sottoposti a «brutalità» e a un comportamento «tirannico», «picchiandoli e terrorizzandoli». Per questo motivo gli agenti della questura, eseguendo un ordine del giudice per le indagini preliminari e sotto richiesta del pubblico ministero, hanno prelevato Marco dall’ospedale di Caltagirone, dove era ricoverato in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio, e lo hanno riportato in carcere

«Una scelta assurda – commenta a MeridioNews Paolo Sapuppo, legale difensore di Lalicata – Marco è chiaramente una persona che ha problemi psichiatrici importanti. Dovrebbe essere ospitato da una struttura sanitaria adeguata, anche sorvegliato, ma sicuramente non in un penitenziario ordinario». L’avvocato ricostruisce i giorni che dal momento del primo provvedimento giudiziario conducono a oggi, passando per il periodo ai domiciliari fatto di «un vai e vieni di carabinieri» a causa degli «atteggiamenti psicotici» del ragazzo più volte segnalati dalla nonna. «Il tribunale della libertà aveva girato il caso di Marco agli assistenti sociali di Mineo, i quali erano da giorni a conoscenza della situazione e si sono attivati solo su ordine del presidente del Riesame – continua Sapuppo – Nonostante le diverse rimostranze dell’anziana coppia e l’acclarata condizione mentale che affligge il giovane. Non credo si tratti di una vera e propria aggressione – specifica – quanto piuttosto di momenti di crisi imputabili alla malattia che chiaramente spaventano i parenti, ormai anziani, di Marco». 

«La nonna ha detto che sbatteva le cose per terra, la afferrava per i polsi e stava per fare cadere il nonno – continua l’avvocato – È una storia molto triste che mostra la debolezza del nostro sistema assistenziale. È chiaro che il tribunale ha preso una decisione per la salvaguardia di tutti, ma lo ha fatto con gli strumenti che gli sono propri, quindi non sempre in modo adeguato per il trattamento di un paziente psichiatrico». Secondo l’avvocato, a gravare sulla condizione di Lalicata ci sarebbe anche l’indifferenza della famiglia originaria. «Aspetto ormai da un mese il padre di Marco che dovrebbe arrivare dalla Danimarca ma ancora non si è fatto vedere. Non mi sembra un comportamento adeguato nel caso di un figlio che ha bisogno di cure e che, allo stato attuale, non assume farmaci». Il legale ha deciso di fare ricorso contro la decisione di riportare Marco in carcere. «All’inizio avevo pensato di rimettere il mio mandato nel caso in cui si fosse comportato ancora male – spiega -, ma non lo faccio perché mi sono reso conto che è davvero solo e il carcere è l’ultimo posto dove dovrebbe stare una persona come lui».

Mattia S. Gangi

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