Mailgate, Recca chiede il giudizio immediato Ecco tutti i retroscena dello scandalo Unict

Una falsa partenza, ma non per tutti, quella del processo relativo al cosiddetto Mailgate, lo scandalo delle email elettorali inviate all’indirizzario riservato dell’università di Catania a settembre dello scorso anno. Rinviata l’udienza preliminare di oggi per due dipendenti dell’università, Antonio Di Maria ed Enrico Commis, indagati per rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. L’ex rettore e candidato nazionale Udc Antonino Recca ha richiesto invece di rispondere con il giudizio immediato alle accuse di spam elettorale nei confronti di studenti e docenti. La sua posizione, la più delicata, seguirà quindi un percorso giudiziario separato, ma in gran parte basato sulle testimonianze dei due co-imputati che indicano Recca come l’ideatore dell’intera operazione. Già archiviato invece il coinvolgimento di Maria Elena Grassi, la candidata regionale Udc a sostegno della quale erano state inviate le email di propaganda, e del figlio Daniele Di Maria, il cui indirizzo di posta elettronica compariva come mittente. Entrambi coinvolti indirettamente secondo la testimonianza di Nino Di Maria, rispettivamente marito e padre dei due, all’epoca dei fatti membro dello staff del rettore Recca.

Gli interrogatori resi ai magistrati da Di Maria senior e da Commis negli scorsi mesi tentano di chiarire quanto ancora restava di oscuro nella vicenda. Tutto sarebbe cominciato ad agosto 2012 quando Recca chiede al membro del suo staff di candidarsi con l’Udc alle elezioni regionali siciliane. Candidatura poi sfumata per il tentennamento di Di Maria e per la preferenza accordata a un nome femminile da parte della segreteria nazionale. La scelta ricade così sulla moglie dell’uomo, Maria Elena Grassi, che – secondo la testimonianza del marito – avrebbe dovuto ricevere da Recca il suo pacchetto di voti insieme a tutto il sostegno necessario per la campagna elettorale. Così nascerebbe nell’ex Magnifico l’idea di far creare all’ufficio di Commis, direttore della rete informatica di Unict, due mailing list apposite: una per gli studenti e una per i docenti, ma solo se residenti a Catania. Senza però spiegare al dipendente a cosa sarebbero servite, sottolinea lo stesso Commis. Una richiesta di per sé non inusuale, considerato che a quelle liste di indirizzi possono accedere senza autorizzazione solo i dipendenti che si occupano delle rete informatica d’ateneo e appunto il rettore con il suo staff.

Una volta predisposti i dati di ignari studenti e docenti di Unict, Recca avrebbe poi suggerito a Di Maria il testo della mail elettorale, insieme alle istruzioni su come inviarla e all’idea di spedirla dall’indirizzo di posta del figlio Daniele. Lo stesso ex Magnifico, racconta Di Maria, si sarebbe occupato dell’invio ai docenti. Ma qualcosa va storto. Tre studenti che ricevono la mail elettorale non digeriscono l’uso spregiudicato dei propri dati e denunciano tutto alla polizia postale. Partono le indagini, scoppia il clamore mediatico sul caso. Commis, racconta lui stesso ai magistrati, si rende conto solo in quel momento dell’uso fatto delle mailing list create dal suo ufficio. E le disattiva. Imparata la lezione, si rifiuterà di ripetere l’operazione a febbraio di quest’anno, per la candidatura alle elezioni nazionali dello stesso Recca.

Quando il garante per la privacy chiede all’ateneo di Catania di spiegare il modo in cui vengono gestiti i dati personali di studenti e docenti, Unict risponde con mezze verità: e cioè con la certezza che nessuno sia mai entrato in possesso degli indirizzi mail riservati. Nessun accenno viene fatto all’eventualità che questi indirizzi siano stati organizzati appositamente e utilizzati da personale autorizzato – Di Maria padre e il rettore, secondo i magistrati – ma per scopi impropri. Ed è sempre l’ex magnifico, secondo il membro del suo staff e co-imputato, a decidere di gestire lo scandalo come «una ragazzata (compiuta da Di Maria jr per aiutare la madre, ndr) che ha dato il via a una smisurata enfasi mediatica caratterizzata da un’ostilità cavalcata da alcune parti politiche», come scriverà in un comunicato.

Allo stesso modo, Recca avrebbe dettato al ragazzo le scuse da scrivere sul proprio profilo Facebook e lo avrebbe spinto insieme al padre a prendersi tutta la responsabilità del caso in cambio di una promozione di Di Maria a direttore del Cinap, poi avvenuta a ottobre. Adesso l’ex rettore dovrà rispondere di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, di violazione della privacy – aggravata dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione – e di aver indotto Nino Di Maria a mentire all’autorità giudiziaria.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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