Ergastolo. È questo il verdetto letto nell’aula Serafino Famà del tribunale di Catania nei confronti dei fratelli Mario e Francesco Montagno Bozzone. Al centro del processo di primo grado c’è l’omicidio di Giuseppe Gullotti. Obiettivo di un agguato, inizialmente fallito, risalente al febbraio 2002 in contrada Cantera, lungo una striscia di asfalto che collega i territori di Bronte e Maniace. L’appuntamento con il Redentore però è soltanto rimandato. Quattro anni dopo infatti Gullotti muore, reso invalido e malato per le gravi ferite riportate. Passati 12 anni c’è un nuovo verdetto nelle aule di giustizia, in una storia processuale già ricca di numerosi colpi di scena. Tra sentenze passate e successivi annullamenti. Con la dipartita di Gullotti che ha trasformato l’accusa in omicidio. Nel primo processo, erano arrivate le condanne da 4 a 14 anni, poi ribaltate con l’assoluzione in Appello nel gennaio 2007: per i giudici le intercettazioni non potevano essere ammesse. Fino al passaggio in Cassazione con il ritorno nelle aule del tribunale di piazza Giovanni Verga.
La mano dei giudici nei confronti degli imputati è stata ancora più pesante del quadro che aveva prospettato l’accusa. Il magistrato Andrea Ursino aveva infatti chiesto l’ergastolo per Francesco Montagno mentre per il fratello 24 anni di carcere, grazie alla concessione delle attenuanti generiche. A favore di quest’ultimo il «non avere fatto parte del commando che ha sparato nonostante abbia giocato comunque un ruolo indispensabile nell’agguato», spiegava Ursino durante la requisitoria discussa nei primi giorni dell’ottobre scorso. Riferimento estrapolato tramite l’analisi delle intercettazioni telefoniche successive all’agguato. Le cimici registrano le chiacchierate in cui si lascia andare Giuseppe Pruiti all’interno della sua autovettura. L’uomo raccontava al suo interlocutore che «l’agguato era stato già rimandato più volte», spiegava Ursino durante la requisitoria. Gullotti sarebbe stato solito accompagnarsi al figlio di Salvatore Catania, boss della famiglia Santapaola dei Nebrodi ma rivale alla cosca Mazzei a cui appartiene invece Francesco Montagno Bozzone. Il fratello, stando alla ricostruzione dell’accusa, si sarebbe appostato munito di cannocchiale in una collina a ridosso della strada statale 120.
Pastore, con qualche piccolo precedente penale, il 30enne Gullotti viaggiava in compagnia di un uomo a bordo della sua jeep. Forse per un incontro con il boss di Maniace Franco Conti Taguali. Superato un ponte che si innalza sopra il fiume Simeto, ad attenderlo trova due uomini con il volto coperto. In pochi istanti, la macchina dell’agricoltore viene investita da una raffica di colpi esplosi da dei fucili caricati a pallettoni. L’omicidio però non viene portato a termine. Gullotti, nonostante un colpo alla schiena, riesce a rannicchiarsi dentro l’abitacolo mente i killer scappano via. Una chiamata al 112 e l’arrivo di un’ambulanza sono gli ultimi momenti in contrada Cantera. Il ferito, padre di due figli, viene trasportato in condizioni molto gravi all’ospedale Castiglione-Prestianni di Bronte ma subito dopo è necessario il trasferimento al Garibaldi di Catania.
Dietro l’omicidio ci sarebbe stata la faida dei Nebrodi. Un lungo spargimento di sangue nell’ambito della corsa all’egemonia mafiosa che ha visto sgomitare Francesco Montagno Bozzone e Salvatore Catania. Con il primo transitato verso il gruppo dei Carcagnusi. Un cambio di casacca indigesto segnato da vittime lasciate sull’asfalto e agguati falliti. A Montagno, che si trova attualmente detenuto nel carcere dell’Aquila, il 18 giugno 2000 infilano una pistola in bocca mentre prende un caffè al bar. Incredibilmente il killer fallisce e il proiettile esce dalla guancia. Nel novembre 2001 i colpi lo raggiungono alle gambe mentre si trova a piazza Spedalieri, ma anche questa volta si salva. Per questo fatto finiscono in carcere Claudio Reale – poi scampato a sua volta a due tentativi di omicidio -, Antonio Triscari e Daniele Salvà Gagliolo. A dicembre dello stesso anno si torna a sparare. Mentre parcheggia la macchina muore Sergio Gardani, indicato come l’autista di Montagno Bozzone. Dopo c’è l’agguato a Gullotti, con il pastore che non riuscirà mai a indicare chi ha sparato. Lasciando però trapelare il possibile movente: «Claudio Reale, figliastro proprio del pastore Gullotti, faceva parte del commando che provò a uccidere Montagno – spiegava Ursino – Ecco perché l’agguato è stata una reazione a quello che era accaduto a Bronte qualche mese prima».
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