Mafia, «Lombardo canale per i Santapaola» Un complesso sistema, il ruolo di Ciancio

«Raffaele Lombardo costituiva un canale diretto per la famiglia Santapaola-Ercolano di Cosa nostra permettendole di consolidare la sua egemonia nei confronti di altri clan, attraverso la creazione di un complesso sistema organizzativo ed operativo di cui facevano parte, quali componenti parimenti necessari, gli imprenditori amici e gli esponenti della famiglia, creando vantaggi di cui beneficiava anche l’associazione mafiosa». E’ il cuore delle motivazioni della sentenza del Gup di Catania, Marina Rizza, che ha condannato a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. Le motivazioni sono state depositate lo scorso 18 agosto e riempiono 325 pagine. Tra cui trovano spazio anche le accuse nei confronti dell’editore de La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, che scrive Rizza nella sentenza, «attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla famiglia catanese. Per questo – spiega il giudice – appare necessario la trasmissione degli atti al Pm per la valutazione di competenza sull’imprenditore».

Nel luglio 2008, trascorsi pochi mesi dall’elezione a governatore di Lombardo, l’editore Mario Ciancio ospitò una riunione nei suoi uffici in cui si cercò, secondo le ipotesi degli investigatori, di sbloccare un problema di natura burocratica, emerso dopo l’inizio dei lavori per la realizzazione del centro commerciale in contrada Pigno nell’hinterland catanese. Secondo le intercettazioni, uno dei soci di Ciancio, l’ex parlamentare europeo Vincenzo Viola, avrebbe chiesto proprio a Lombardo di «ammorbidire, ma non in denaro» i dirigenti del comune di Catania per evitare la realizzazione di una variante al progetto iniziale. Modifica che avrebbe comportato un blocco ai lavori già iniziati e in cui a ritagliarsi un ruolo importante, per quanto riguarda il movimento terra, era stato l’imprenditore Vincenzo Basilotta, arrestato alcuni anni prima e condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.

Sempre a proposito di Lombardo, nelle motivazioni della sentenza si legge che ha «sollecitato, direttamente o indirettamente, i vertici di Cosa nostra a reperire voti per lui e per il partito per cui militava (le regionali in Sicilia del 2001 e nel 2008 e le provinciali a Enna nel 2003) ingenerando nei medesimi il convincimento sulla sua disponibilità a assecondare la consorteria mafiosa nel controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici». Per il Gup Rizza appare «provato» che Raffaele Lombardo abbia «contribuito sistematicamente e consapevolmente», anche mediante «le relazioni derivanti dalla sua pregressa militanza in più partiti politici», alle «attività e al raggiungimento degli scopi criminali dell’associazione mafiosa» per «il controllo di appalti e servizi pubblici». Il Gup ritiene che l’ex presidente della Regione con «la promessa di attivarsi in favore dell’associazione mafiosa nell’adozione di scelte politiche e amministrative abbia intenzionalmente ingenerato, mantenuto e rafforzato il diffuso convincimento sulla sua completa disponibilità alle esigenze della consorteria».

Secondo il giudice il modus operandi dell’ex presidente della Regione Sicilia, sarebbe stato sempre lo stesso: «Acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza della proprietà». Il Giudice cita l’esempio di quattro casi: il piano di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, nei pressi della base di Sigonella, mai venuto alla luce, e tre centri commerciali, uno solo dei quali – il Centro Sicilia in contrada Tenutella – è stato effettivamente realizzato.

Proprio quest’ultimo affare è finito anche al centro del troncone principale dell’inchiesta Iblis, in cui è in dirittura d’arrivo la sentenza d’appello dopo le condanne in abbreviato a oltre 220 anni di carcere per 24 dei 27 imputati. Secondo gli investigatori del ROS dietro il polo commerciale nel territorio di Misterbianco si sarebbero concentrate le attenzioni e le tribolazioni dei gruppi mafiosi Ercolano e Mirabile, che erano in contrasto tra loro, oltre a quelle della politica. Nel 2007, stando alle accuse, l’ex deputato regionale Giovanni Cristaudo (assolto in primo grado con formula dubitativa dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa), avrebbe orientato la sua attività di parlamentare alla Regione Siciliana per favorire l’iter amministrativo per la realizzazione dell’area commerciale.

Il Gup cita poi il caso dell’editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa in un altro procedimento, del quale la Procura ha chiesto per due volte l’archiviazione. Il fascicolo non è stato ancora definito. Nella sentenza, il Gup Rizza dispone il rinvio alla Procura di alcuni degli atti che l’ufficio del Pm aveva allegato al processo Lombardo.

Secondo il Gup il progetto di due affari trattati anche dall’editore Ciancio «annoverava tra i soci un soggetto vicino a Cosa nostra palermitana». «Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia – scrive il Gup – fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio».

La replica di Ciancio è affidata a una nota trasmessa dai suoi legali. «Le valutazioni del Gup che ha condannato il presidente Lombardo affrontano temi e argomenti concernenti la mia persona già noti da tempo al Procuratore della Repubblica di Catania. Sorprende la gravità di una valutazione in ordine alla posizione di una persona estranea al processo e che non ha potuto certamente interloquire con il giudice per fornire dati e notizie che avrebbero determinato una valutazione di diverso tenore. Sarebbe stato fornito infatti ampio materiale documentale da cui rilevare il possesso dei miei terreni da oltre quarant’anni, circostanza che confligge con l’ipotesi di acquisti effettuati per lucrare lauti guadagni in combutta con ambienti mafiosi. Non intendo subire, però, alcuna condanna senza giudizio e sono indignato per essere stato indicato come persona vicina ad ambienti mafiosi». Ciancio comunica di aver incaricato i suoi legali «di affrontare immediatamente i temi sollevati dal Gup con l’unico interlocutore possibile, il Procuratore della Repubblica di Catania il quale certamente non ha bisogno di un giudice che gli dica cosa fare e al quale intendo affidare la mia persona, la mia famiglia e il futuro delle mie aziende».

 

Salvo Catalano

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