Un’amicizia fraterna che dura da vent’anni. L’ultima volta erano apparsi insieme, sebbene a distanza, in una delle aule giudiziarie del carcere di Bicocca. Era gennaio di due anni fa, Francesco Russo si presentava come un giovane negoziante andato a testimoniare in favore di un amico, Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, accusato di essere il nuovo capo di Cosa nostra a Catania. Enzo u nicu lo ascoltava collegato in videoconferenza da Rebibbia, a Roma, dov’era – ed è ancora – detenuto al carcere duro. La settimana scorsa, invece, Russo è stato arrestato nell’operazione Bulldog, insieme ad altre 15 persone tra presunti boss, prestanome e fiancheggiatori del clan Santapaola. Per lui l’accusa è di concorso esterno alla mafia e furto. Secondo i magistrati, pur non essendo interno all’organizzazione criminale, era «considerato un uomo a disposizione del clan». Un fedelissimo a cui il gruppo che faceva riferimento a Roberto Vacante «si rivolgeva per superare singole criticità o bisogni».
Francesco Russo è nipote di Sergio e Maurizio Signorino, esponenti dei Santapaola uccisi nel 1998 e nel 2010. «Vincenzo con me è sempre stato chiaro – raccontava in aula due anni fa – Se avevo intenzione di frequentare i miei zii, era meglio chiudere la nostra amicizia. E invece io ho scelto Vincenzo». Un quadro diverso da quello tracciato dai magistrati, secondo cui il quarantenne di Misterbianco – pur restando esterno a Cosa nostra – è «trait d’union tra esponenti della famiglia mafiosa detenuti in carcere e accoliti in libertà». Sulla carta, ha sempre lavorato nel settore dell’abbigliamento: fin da ventenne con una boutique in corso Italia, e poi con un negozio per bambini a Sant’Agata li Battiati. Attività che, per la procura etnea, Russo affiancava alla pianificazione di rapine, raccolta delle estorsioni e affari all’estero forse per riciclare i soldi del clan. Tra i suoi ruoli principali, anche quello di ambasciatore dell’amico Enzo Santapaola che preferiva restare nell’ombra. «U fantasma», come lo definivano i Lo Piccolo di Palermo.
Dagli affari in Russia alle rapine nel Messinese. È questo, stando alle indagini, il raggio d’azione del business di Russo. «Sebbene non disponga di adeguate coperture finanziarie», a fine 2012 si trova a San Pietroburgo dove «predispone l’avvio di rapporti commerciali con imprecisati operatori russi». Qualche mese dopo, invece, è a Malta per trattare l’acquisto di alcuni macchinari per il dimagrimento, utili a un futuro centro estetico. Giusto il tempo di tornare a Catania e i microfoni degli investigatori lo registrano mentre viaggia su un furgone con Riccardo Ventaloro, pregiudicato di San Giovanni Galermo. I due si soffermano a lungo davanti alle poste di due paesini del Messinese – Furci Siculo e Santa Teresa di Riva – intenti, secondo l’interpretazione degli inquirenti, a progettare un colpo. «I napoletani, secondo me, hanno qualche piede di porco», ragiona Russo. L’attesa davanti ai presunti obiettivi della rapina trascorre discutendo di droga: «Oggi qua hanno immondizia, ci metti centomila euro e la compri (a Milano, ndr)». Niente sembra turbare la missione esplorativa, nemmeno le domande di un passante: «A chi cerca? Siccome qua è strada privata e c’è stato un furto…», «Aspetto un’amica, non si preoccupi – risponde Russo – Si può prendere anche il numero di targa tranquillamente, glielo dico per correttezza».
Ma a mostrare l’importanza del nipote dei Signorino sarebbe soprattutto la piena fiducia di Vincenzo Santapaola nei suoi confronti. «Gli aveva affidato compiti delicati come i rapporti con i commercianti soggetti a estorsione – scrive il giudice etneo – e gli aveva delegato il riservatissimo compito di trasferire delicatissime disposizioni a Santo La Causa». Nello specifico, il richiamo alle armi dell’oggi collaboratore di giustizia come reggente della famiglia mafiosa catanese. Più volte, nel corso degli anni, Russo è stato fermato dalle forze dell’ordine in compagnia di Enzo Santapaola, della moglie Vincenza Nauta e dell’altro figlio di Nitto, il minore, Francesco Massimiliano. Frequentazioni che per i magistrati farebbero di lui l’«uomo di fiducia e il portavoce di Vincenzo Santapaola». E che invece per Russo – come lui stesso ha giurato davanti alla corte – sarebbero solo la quotidianità di una fraterna amicizia.
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