Mafia, il business della carne imposta  «Se qualcuno vuole il morto glielo do»

Dalle stragi del 92-93 al business della carne imposta nei supermercati di Palermo e provincia: è la parabola di Pietro Formoso, fratello di due boss coinvolti dall’attentato di Cosa nostra a Milano del 1993, che avrebbe avuto un ruolo di rilievo nella famiglia mafiosa di Misilmeri, il grosso centro del palermitano. In particolare Formoso voleva piazzare la carne di una ditta amica nei supermercati di Palermo e provincia, a un prezzo più caro del solito

Un business però interrotto da un’operazione congiunta condotta da carabinieri e guardia di finanza, che ha portato all’arresto di sei persone e un divieto di dimora. Sono accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata e reati contro la pubblica amministrazione e di frode fiscale. Dalle intercettazioni si apprende del clima di paura instaurato nei confronti di chi non voleva piegarsi al racket. È il caso di un imprenditore, vessato dallo stesso Formoso (al quale aveva ceduto gioielli del fratello Giovanni): e che però, essendo in carcere, faceva arrivare le  intimidazioni attraverso propri uomini

Tra gli arrestati c’è anche un ispettore della polizia in servizio presso il commissariato Porta Nuova: si tratta di Francesco Paolo Migliaccio, per il quale il gip del tribunale di Palermo ha imposto il divieto di dimora nel territorio del Comune di appartanenza. Nell’operazione, che riguarda anche la compravendita di preziosi, sarebbero coinvolti alcuni negozi di compro oro. I provvedimenti sono scattati per Lorenzo D’Arpa, 58 anni, Paolo Dragna, 64 anni, Pietro Formoso, 69 anni, Francesco La Bua, 68 anni, Pietro Morgano, 70 anni, e Vincenzo Meli, 66 anni. 

Nell’operazione, denominata Gioielli di Famiglia, sono stati coinvolti i militari del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo e del Comando Compagnia Carabinieri di Bagheria hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali. Per l’esecuzione dei provvedimenti, eseguiti questa mattina, sono stati impegnati circa 100 militari, con l’ausilio di unità cinofile per la ricerca di armi ed esplosivi.

Le indagini sono partite dalla figura di Pietro Formoso, fino adesso condannato per associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti nel ruolo di promotore e capo, ma mai per mafia. Sono state le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia a collocarlo nel contesto mafioso misilmerese e palermitano. I carabinieri e finanzieri sostengono che Pietro Formoso appartenga a pieno titolo alla famiglia di Misilmeri con il ruolo di referente per il traffico internazionale di stupefacenti proveniente dalla Spagna e dalla Colombia e per le estorsioni nei confronti di imprenditori locali, e per aver autorizzato l’affiliazione di soggetti a Cosa nostra. 

L’uomo avrebbe estorto soldi per 100 mila euro a un imprenditore palermitano per l’acquisto di pietre preziose. Nel corso dell’operazione sono state sequestrate somme di denaro depositate su conti correnti riconducibili a imprese individuali, operanti nel settore della vendita all’ingrosso di carne e della vendita di oro e oggetti preziosi, che avevano omesso il versamento dell’Iva e dell’imposta sul reddito, per un importo totale di circa 850mila euro. L’utilizzo delle intercettazioni come strumento di indagini ha permesso di appurare altre condotte fraudolente da parte di alcuni imprenditori, che in questo modo avrebbero evaso il fisco, mentre un operatore commerciale del settore compro oro avrebbe cercato di ingraziarsi le autorità di controllo.

Redazione

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