Pantelleria, dove partorire è un atto di coraggio Il protocollo da firmare «è terrorismo psicologico»

A mettere al mondo un figlio ci vuole coraggio. Ma a Pantelleria ce ne vuole di più. Da novembre, e dopo una mobilitazione delle donne della piccola isola, il punto nascite ha riaperto, grazie anche a un bando internazionale per assumere i professionisti necessari. Da allora quattro mamme hanno deciso di partorire in quella struttura, un’altra decina ha invece continuato a preferire la terraferma, Trapani o Marsala. E per mesi l’Asp si è interrogata sulla sostenibilità economica di un punto nascite che veniva puntualmente scartato dalle stesse mamme pantesche. «Diciamo la verità – denuncia Roberta Pavia Restivo, battagliera portavoce del comitato delle donne – qui la paura ce la fanno venire i medici, se la maggior parte di noi mamme alla fine ha scelto di andare a partorire fuori è perché siamo sottoposte a un terrorismo psicologico». 

Il riferimento è al protocollo che ogni donna incinta di Pantelleria deve sottoscrivere se vuole mettere alla luce il proprio figlio nel punto nascita dell’isola. Un documento di alcune pagine in cui da una parte si fa un lungo elenco dei criteri di esclusione, cioè tutti quei fattori che rendono la gravidanza non fisiologica e quindi a rischio. Si va da eventuali aborti pregressi a patologie importanti tra cui quelle oncologiche, epatiche, endocrine e psichiatriche, ma anche a fattori come la pressione alta o l’età superiore ai 35 anni. Dall’altra parte, però, si chiede alle donne un’assunzione di responsabilità personale anche di fronte a gravidanze del tutto normali. Visto che, si legge nel protocollo, «i servizi di Pantelleria a oggi non sono in grado di assicurare la dovuta assistenza materna e neonatale in caso di complicanze non preventivabili, ma statisticamente probabili durante il travaglio, il parto e il post parto», la futura mamma deve dichiarare di «rifiutare» sotto la sua responsabilità «la presa in carico dell’ambulatorio sulla terraferma». 

Un atto di coraggio che negli ultimi cinque mesi hanno sostenuto in quattro. «Io non ho firmato nulla e ho partorito a Trapani il 20 dicembre – racconta Cristina Ferreri – Il mio caso è particolare perché avevo avuto degli aborti pregressi e potevo essere a rischio, ma nessuna donna dovrebbe essere costretta a firmare per assumersi tutte le responsabilità in caso di qualsiasi complicazione. Questa è una cosa che avviene solo a Pantelleria. Durante la gravidanza i medici te lo ripetono in continuazione: se resti devi firmare. Questo mette tanta agitazione, hai quasi paura. Sento già una grande responsabilità a mettere al mondo un figlio». 

Non poche sono state le difficoltà per aprire il punto nascite di Pantelleria, soprattutto quella di trovare, tramite bando, il personale disposto a lavorare sull’isola. «Abbiamo fatto tutto il possibile e ora ci sono tutti i medici che servono – spiega Giovanni Bavetta, commissario dell’Asp di Trapani – Sappiamo che secondo alcune mamme quel protocollo è troppo restrittivo, ma noi chiediamo solo una corresponsabilità. Ogni donna deve essere consapevole dei rischi e poi decidere. Anche sulla terraferma, ad esempio, sta crescendo la consapevolezza che una struttura pubblica dotata di tutti i reparti anche per eventuali emergenze sia più sicura di una clinica privata. D’altronde che interesse avrei a non farle partorire lì?».

Secondo il numero uno dell’Asp trapanese, il fatto che quattro mamme abbiano accettato di restare a Pantelleria dimostra che a poco a poco il messaggio viene recepito. «In realtà – replica Roberta Pavia Restivo – non tutte possono permettersi di anticipare le spese per trasferirsi sulla terraferma per almeno un mese, dovendo affittare un appartamento per le persone che ti accompagnano. Molti mariti, poi, non hanno la possibilità di prendere diverse settimane di ferie. Anche per questo qualcuna finisce per accettare. Una cosa che non si riscontra in nessun altro punto nascite della Sicilia». Chi se ne va ha diritto a un indennizzo di 2.700 euro. Che però arriva dopo molti mesi (chi ha partorito a febbraio 2017 lo ha ricevuto a novembre 2017) e non sempre riesce a coprire tutte le spese. 

Il comitato delle mamme chiede dunque «un’apertura del punto nascite reale e definitiva, un protocollo meno stringente che garantisca davvero l’espletamento dei parti a basso e medio rischio, la possibilità di effettuare esami clinici di routine (morfologica, ultrascreening, radiologie per il bambino) come accadeva in passato, visto che le apparecchiature ci sono ma mancano i professionisti che a turno potrebbero recarsi sull’isola in tempi stabiliti». Ultima richiesta: la presenza fissa di un pediatra di base. Quelli che, dopo aver vinto il concorso, lavorano nel punto nascite infatti non effettuano visite. Mamme e bambini ogni settimana si trovano un medico diverso che, a turno, viene dalla terraferma il lunedì pomeriggio e riparte il venerdì sera. «Ognuno ha il suo modo di lavorare, manca continuità – conclude Restivo – non esiste neanche un computer comune con un database che contenga le informazioni sui nostri figli». 

Salvo Catalano

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