Mafia, il business dei posti nella pescheria di Catania «Ci vuole il permesso di Massimo. È il lasciapassare»

Decine di bancarelle che ogni giorno vengono riempite di pesce. Le urla dei venditori, le persone che acquistano e i turisti che osservano con un pizzico di stupore. Dietro la fontana dell’Amenano, a due passi dal Duomo, c’è uno degli angoli più noti di Catania: quello del mercato del pesce. Qualcosa però nella pescheria non funzionerebbe a dovere. A scoprirlo sarebbe stato sulla sua pelle Salvatore Bosco. Di rientro da Malta con l’obiettivo di piazzare una partita di pesce spada. Per riuscirci bisognerebbe però affrontare una richiesta preliminare. Questo è quello che si sente dire l’uomo quando viene avvicinato da alcune persone. «Chi ti manda?», gli chiedono. «Lavoro per Turi di Pachino», risponde Bosco sperando che il definirsi vicino al boss siracusano Salvatore Giuliano possa bastare. Ma così non è. Per vendere quel pesce c’è bisogno di altro. Per esempio «del permesso di Massimo». Il suo «è un lasciapassare essenziale».

Lo spaccato fin qui descritto è quello emerso tra le pagine dell’inchiesta Araba fenice. L’indagine coordinata dalla squadra mobile di Siracusa per fare luce sulla presunta egemonia di Giuliano nella parte meridionale della provincia aretusea. Un potere che si consolida negli anni e che nell’ultimo periodo avrebbe beneficiato di una rinnovata alleanza con il clan dei Cappello di Catania. Il Massimo citato nelle intercettazioni viene identificato dagli investigatori in Massimiliano Salvo, detenuto dal 2017 ma ritenuto uno dei capi della mafia etnea. Ed è per questo motivo che Giuliano avrebbe deciso di riprendere Bosco per il suo tentativo di inserirsi all’interno della pescheria di Catania senza le necessarie autorizzazioni. Quando il fatto sarebbe accaduto però l’uomo non ha nemmeno idea di chi potesse essere quell’uomo a cui chiedere il via libera. «Io gli ho detto: “Chi è questo Massimo?“», racconta Bosco quando, intercettato, ripercorre la vicenda. «A questo punto me ne vado da Turi e gli dico: “Vedi che mi hanno bloccato”».

Giuliano non si stupisce, anzi. Il boss di Pachino va su tutte le furie, secondo il quadro svelato nelle carte, per il modo di fare approssimativo e impulsivo dell’uomo. Lo stesso che con il suo approccio avrebbe potuto causare «una guerra tra clan». Le carte in tavola però possono cambiare rapidamente, e tutto può risolversi: «Queste cose hanno bisogno di accordi», avrebbe replicato Giuliano. La vicenda, che nell’inchiesta non è legata a nessuna contestazione di reato specifica, è comunque utile secondo gli inquirenti per descrivere il legame Salvo-Giuliano collegandolo a uno degli appetiti storici dei clan, ovvero il mercato ittico. Quando poi Bosco conosce Salvo la questione effettivamente si sarebbe risolta. Tanto che, passati diversi mesi, tra i due si crea un legame di un certo spessore. «Massimo è quello che comanda a Catania, solo lui comanda», spiega senza sapere di essere intercettato Bosco. Il Massimo in questione sarebbe stato ancora una volta il figlio dello storico capomafia Pippo ‘u carruzzeri. «Questo ragazzo è un leader. Ne ha cinque, sei alle spalle, tutto scortato», dice sempre Bosco. L’uomo si sbottona ed esalta il presunto ruolo rivestito da Salvo con una signora greca, attiva, anche lei, nel settore ittico come mediatrice con alcune ditte di Siracusa. La donna si sarebbe rivolta ai clan per un recupero crediti da 180mila euro, riuscendo ad avere anche un doppio faccia a faccia con i massimi esponenti. 

Nel 2015 per il gruppo dei Giuliano si prospettano nuovi affari, ancora una volta all’interno della pescheria etnea. Uno di questi è legato alla vendita di prodotti surgelati «per un’ attività da avviare nei posteggi, ovvero nelle bancarelle del mercato di Catania, in accordo con Salvuccio». Giuliano però non avrebbe avuto fretta. Intenzionato ad aspettare l’avvio dell’attività e i primi incassi. Subito dopo sarebbe stata la volta della divisione delle percentuali, calcolate dagli indagati nella misura del cinque per cento. Senza però che fosse chiaro a chi sarebbero dovute andare.
 

Dario De Luca

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