Mafia: i tre livelli della piramide capovolta catanese La spartizione degli affari nella relazione della Dia

Una piramide capovolta a tre livelli. Potrebbe venire fuori così l’immagine delle organizzazioni mafiose nel Catanese fatta dalla relazione della Direzione investigativa antimafia per il semestre che va da luglio a dicembre del 2018. Al vertice, più strutturato e radicato nel territorio, ci sono le famiglie Santapaola-Ercolano e Cappello. Nel secondo e terzo strato criminale si posizionano sodalizi che si connotano per un livello meno evoluto rispetto a Cosa nostra ma «ugualmente temibili dal punto di vista degli effetti criminali». È a questi gruppi meno strutturati che Cosa nostra trasferisce le attività criminali di minore profilo, come gli scippi o il piccolo spaccio, riservando invece per sé le attività più remunerative. Livelli che convivono pacificamente, senza frizioni evidenti – anche con aggregazioni mafiose nate con intenti antagonistici rispetto a Cosa nostra – ma caratterizzati dal «fenomeno del passaggio degli affiliati da un sodalizio ad altri maggiormente strutturati».

Un continuo rimodularsi di organizzazioni e alleanze che garantisce un equilibrio funzionale per un capillare controllo di tutte le aree criminali e per la tenuta del sistema. «Le solide e strutturate famiglie di Cosa nostra, infatti, da un lato riconoscono delimitate forme di autonomia a circoscritti gruppi locali – si legge nella relazione della Dia – e d’altra parte rappresentano, per le consorterie minori, punti di saldo riferimento nel panorama criminale, in relazione all’indirizzo e alla strategia delle attività sul territorio». Droga, estorsioni e usura, scommesse e gioco d’azzardo online e infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni. 

La famiglia più rappresentativa del vertice è quella dei SantapaolaErcolano. Egemone nel capoluogo etneo e nella provincia, è incline a estendere la propria area di influenza anche nelle provincie vicine (per esempio a Messina come accertato dalle operazioni BetaBeta 2) tramite referenti locali «cui sono state tributate anche plateali forme di rispetto». Il riferimento degli investigatori è agli inchini durante le manifestazioni religiose davanti alle case degli uomini d’onore. In particolare, viene ricordata la processione religiosa di Santa Barbara del 2015 a Paternò durante la quale l’annacata di una varetta venne fatta davanti l’abitazione di un noto pregiudicato degli Assinnata (affiliati ai Santapaola-Ercolano) con tanto di bacio al figlio davanti al palazzo comunale.

Nel secondo livello criminale si posizionano: il clan Mazzei, insediato sia nel capoluogo che in diverse porzioni del territorio provinciale con stretti rapporti con sodalizi criminali anche al di là dei confini etnei (in particolare nel Ragusano); la famiglia La Rocca, stanziali a Caltagirone e nei paesi del circondario;. il clan Cappello-Bonaccorsi, originario dei quartieri più popolari di Catania, estende la propria influenza fino ai confini con la provincia di Messina e nel comprensorio ennese; il clan Laudani – decimato dopo l’operazione I Viceré ha dimostrato una «elevata pericolosità» riuscendo a infiltrare il tessuto politico-amministrativo. Salendo poi nella piramide capovolta si arriva a un terzo livello organizzativo criminale che gravita attorno a Cosa nostra formato dai Pillera, dal gruppo Sciuto (la cui componente ancora operativa è transitata nella frangia di fuoco del clan Cappello), il gruppo dei Piacenti che opera soprattutto nel quartiere Picanello di Catania; e dai Cursoti che, per un certo periodo, si sono divisi nelle due frange dei catanesi e dei milanesi.

Tra gli affari più redditizi per le mafie etnee c’è la droga, un settore in cui continuano a registrarsi anche sodalizi con le cosche calabresi, come emerso nell’operazione Assalto. Il business che sembra mettere d’accordo tutti è quello delle scommesse e del gioco d’azzardo online. Le operazioni Revolution Bet Gaming offline hanno svelato un accordo funzionale tra le due consorterie catanesi dei Santapaola-Ercolano e dei Cappello, solitamente antagoniste, per la gestione delle sale scommesse in buona parte della Sicilia orientale. Altro grande classico sono le infiltrazione delle pubbliche amministrazioni. Il riferimento, in questo caso, è allo scioglimento del Comune di Trecastagni (ancora sottoposto a commissariamento) e alla commissione d’indagine che si è insediata a Misterbianco per accertare eventuali infiltrazioni o condizionamenti mafiosi nella gestione amministrativa. Nella relazione, infine, si si segnalano anche casi di cattiva gestione della cosa pubblica non collegabili alle organizzazioni mafiose, primo tra tutti il caso Etna.

Marta Silvestre

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