Cosa nostra non va in vacanza e il pizzo bisogna pagarlo pure ad agosto. Lo sa bene anche l’imprenditore ennese G.C.. Vittima congiunta delle richieste di denaro delle famiglie mafiose alleate di Catania e Pietraperzia, in provincia di Enna. Una storia risalente al 2017 che si mischia nelle carte di due distinte inchieste antimafia: Capolinea e la più recente Kaulonia, che nei giorni scorsi ha portato a 21 arresti. Al centro di tutto ci sono ancora una volta i lavori per la posa della fibra ottica. Dalla provincia di Siracusa a quella etnea lo spartito è sempre lo stesso: pagare.
Ad alternarsi sono solo alcuni dei personaggi che si sarebbero occupati dell’estorsione. Si passa così da Calogero Giuseppe Balsamo, per tutti Pippo, a Tano Stidda, all’anagrafe Gaetano Curatolo. Un boss alla vecchia maniera che, secondo le investigazioni, dopo una fase da posato sarebbe tornato in attività dentro la famiglia mafiosa di Enna. In mezzo ci sono i catanisi, quelli che «ti levano il sonno e la tranquillità», raccontava l’imprenditore al telefono. Anche ad agosto, perché dalle scadenze di Cosa nostra «nun si po’ scappari, nun ci n’è ferie».
Il romanzo criminale di questa storia comincia a maggio di due anni fa. Quando l’imprenditore ottiene i lavori in subappalto da Sirti e inizia a trasferire i suoi mezzi a Catania dai cantieri già operativi, e anche quelli finiti sotto estorsione, in provincia di Siracusa. Alla sua porta bussano nel giro di pochi giorni. E così, a causa di un furto di mezzi, c’è bisogno di cercare protezione. Un lavoro che si sarebbero divisi in due: Salvatore La Delia e Antonio Salvatore Medda. Garanti alle soluzione dei problemi: «Siamo rimasti che gli diamo qualcosina al mese», diceva l’imprenditore al telefono parlando con la moglie. I termini dell’estorsione, secondo gli inquirenti, sarebbero stati definiti durante un summit di mafia nelle campagne di Pietraperzia, preceduto da una mangiata a base di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Al tavolo si sarebbero seduti i boss del centro della Sicilia e tutto lo stato maggiore della mafia Catanese, guidato da Antonio penna bianca Tomaselli. Oggi detenuto ma all’epoca dei fatti ritenuto il nuovo reggente militare dei Santapaola-Ercolano.
La spartizione del denaro, che l’imprenditore era costretto a versare, sarebbe sempre avvenuto con il tramite di La Delia. Sarebbe stato «iddu», una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, a intrattenere i rapporti con Medda, originario di Enna ma residente a Catania, e con il 59enne Filippo Scalogna. Mafioso del gruppo del quartiere Villaggio Sant’Agata noto per essere il cognato del defunto boss Raimondo Maugeri. La vittima versa i soldi per i primi cinque mesi e tutto sembra filare liscio. Almeno fino a quando decide di allontanare dai propri cantieri La Delia. Personaggio troppo ingombrante che si sarebbe mosso come «il vero padrone dell’azienda». Ma per Cosa nostra la vittima deve continuare a pagare e i termini dell’accordo sarebbero stati affrontati in un nuovo incontro avvenuto in contrada Pigno, tra i quartieri Librino e San Giorgio. A presentarsi, come immortalano le telecamere, ci sono Curatolo e La Delia per la famiglia di Enna e Tomaselli e Scalogna, «il padrone di casa», per quella di Catania. In mezzo Salvatore Medda. Cinque giorni dopo scatta l’operazione Chaos e proprio Tomaselli, il presunto reggente, finisce dietro le sbarre. La presa nei confronti della vittima però non viene mollata.
Passato il blitz tocca a due uomini, a bordo di uno scooter, affiancare la macchina dell’imprenditore per provare a fargli capire che nonostante gli arresti nulla è cambiato: «Fai il tuo dove ‘mpare, a sta vota tu stamu dicennu cà vucca, non tu dicu chiù, non mi fari veniri chiù», gli spiega uno di loro identificato dagli inquirenti in Angelo Tomaselli. Quattro giorni dopo si cerca di rimediare e la questione viene affrontata durante un nuovo faccia a faccia. È il 28 novembre 2017 e la vittima incontra «gente grossa e tinta», dice a un suo operaio. Persone che «su tu sbagli a parlà ti sparunu na faccia accuddì». Alla fine esce fuori «il preventivo perfetto». Cosa nostra concede un nuovo magazzino in cui custodire i mezzi anche se in cambio c’è l’obbligo di pagare «l’assicurazione». Poi onorata con un assegno postdatato da 1400 euro.
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