Una grossa inchiesta condotta dalla procura distrettuale antimafia di Catania e, operativamente, dai carabinieri e dalla guardia di finanza, ha portato allo scoperto un gigantesco business incentrato sullo smaltimento illecito di rifiuti nel Siracusano. A gestirlo sarebbero Antonino Paratore e suo figlio Carmelo, definiti dagli investigatori «prestanome del boss santapaoliano Maurizio Zuccaro» per il quale avrebbero avviato un «ingente giro di denaro sporco». Soldi che, secondo la magistratura inquirente, sarebbero stati puliti dalla famiglia del boss anche attraverso il lido balneare Le piramidi della Playa di Catania.
«La nostra attività e gli accertamenti patrimoniali – spiega il comandante provinciale delle fiamme gialle Roberto Manna – hanno consentito di appurare che fino a un certo periodo il lido, che veniva gestito dalla Paratore srl, era fittiziamente intestato ai Paratore per conto di Zuccaro. All’interno della struttura lavoravano anche parenti del boss e ci sono state nel corso degli anni movimentazioni nelle quote societarie e creazioni di nuove società che hanno cercato di occultare la riconducibilità a loro». Per questo motivo le quote societarie riconducibili a padre e figlio, sia nel lido che nella società omonima, sono state poste sotto sequestro preventivo. Ma non è il solo episodio, questo, che mette in luce gli appetiti della criminalità organizzata nei confronti dell’economia etnea.
Nell’ambito dell’attività investigativa, infatti, gli inquirenti sono incappati in una delle più classiche modalità con le quali le cosche cercano di introdursi negli assetti societari di realtà imprenditoriali catanesi. In particolare, come spiegano i magistrati, «attraverso i primi rilievi abbiamo capito che la famiglia Zuccaro si è interessata a un commerciante che possiede un noto locale ad Aci Castello». Dopo qualche tempo si chiarisce che si tratta del proprietario del famoso ristorante Al Tubo che, in condizioni di necessità economica, si è rivolto «a un usuraio, il pluriplegiudicato Salvatore Grillo, che gli ha fatto prestiti di denaro contante e ha cercato di inserirsi come socio occulto della società vista l’impossibilità del titolare di saldare i debiti».
L’estortore avrebbe così ottenuto interessi usurari superiori al dieci per cento al mese nonché assegni in garanzia dell’importo complessivo di 30mila euro come corrispettivo di una serie di prestiti che ammonterebbero in totale a 23.600 euro. A Grillo le forze dell’ordine contestano quindi il reato di estorsione «a seguito di condotte violente e intimidatorie compiute per la restituzione del credito». È in questo contesto che, come spiega infine la procura,«gli Zuccaro offrono protezione al locale, provvedendo a coprire i debiti di Grasso nei confronti dell’usuraio. Ma – concludono – il proprietario capisce che anche il boss voleva inserirsi nella società come socio occulto e si è rivolto infine ai carabinieri».
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