Sarebbe stato Cosimo D’Amato, 57enne di Santa Flavia, in provincia di Palermo, a fornire alla mafia il tritolo per stragi e attentati dei primi anni ’90. Forniture nazionali secondo i magistrati di Firenze che hanno disposto l’arresto dell’uomo: ingenti quantità di esplosivo usato non solo a Capaci – dove morirono il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie e a tre uomini della scorta ma anche a Roma in più di un’occasione di falliti attentati.
L’ufficio di Firenze, insieme a quelli di Caltanissetta e Palermo, è titolare di un filone delle indagini sulla presunta trattativa tra Stato e mafia e sugli attentati progettati da Cosa Nostra per fare pressione su politici e opinione pubblica italiana. L’arresto di Cosimo D’Amato è solo l’ultimo atto di un’investigazione divisa in più fascicoli e sparsa per l’Italia che va avanti da anni tra colpi di scena giudiziari e mediatici e tasselli di verità ancora mancanti.
Secondo i magistrati fiorentini, D’Amato avrebbe procurato il tritolo per tre attentati, anche fuori dalla Sicilia. Quello di Capaci del 23 maggio 1992 quando persero la vita il magistrato del pool antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. E poi due tentate esplosioni a Roma sempre nel 1993, entrambe fallite.
Il primo, precedente alla strage di Capaci, è quello del 14 maggio 1993. Una Fiat uno rubata e imbottita con circa cento chili di tritolo fu fatta esplodere in via Ruggero Fauro, nella capitale. Nessuna vittima ma sette feriti il bilancio dell’esplosione: tra questi c’erano Stefano Degni, autista della Mercedes blu su cui viaggiavano il presentatore Maurizio Costanzo e la compagna Maria De Filippi, e uno degli uomini della loro scorta personale Fabio De Paolo, a bordo di una Lancia Thema. Quattro palazzi accanto al luogo della deflagrazione subirono danni. Obiettivo dell’attentato secondo alcuni era proprio il presentatore televisivo, autore in quegli anni di trasmissioni antimafia. Una ricostruzione che però non convince del tutto, considerato anche che, nella stessa strada, viveva Lorenzo Rannacci, vice di Bruno Contrada che ha da poco finito di scontare la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa al Sisde, i servizi segreti italiani.
D’Amato, dicono oggi i magistrati fiorentini, avrebbe rifornito Cosa Nostra di tritolo anche per un altro attentato fallito, quello allo stadio Olimpico di Roma. Secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, una Lancia Thema con a bordo 120 chili di chiodi e tritolo venne parcheggiata in via dei Gladiatori. Obiettivo dell’esplosione dovevano essere gli spettatori all’uscita dallo stadio e i carabinieri che sarebbero passati di lì a poco con due camionette. Ma qualcosa però andò storto perché, al momento di azionare l’esplosivo con l’apposito telecomando, non accadde nulla. Difficile quindi per gli investigatori stabilire la data fissata per il mancato attentato. Ricostruita successivamente al 31 ottobre 1993.
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