Emergenza. Parola che allo stesso tempo è alibi e prova di colpevolezza, la via migliore per tirare avanti rinviando a un altro momento – e magari a qualcun altro – la soluzione del problema. Sta qui per il deputato Alessandro Bratti l’origine di tutti i mali dei rifiuti in Sicilia. Esponente del Partito democratico, presidente della Commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della Camera, e in tale veste tra i firmatari del dossier sulla gestione della munnizza in Sicilia. Un documento di oltre 360 pagine che regala una fotografia del caos che caratterizza il settore, divenendo terreno fertile per la criminalità organizzata che di mancanza di regole e ambiguità si alimenta.
«Che il problema non sia risolvibile è una fesseria, se sui rifiuti i passi avanti sono stati fatti da altre parti non c’è motivo che non accada lo stesso in Sicilia – continua -. Ma nel sistema amministrativo ci sono voragini più che falle». Con radici che vanno indietro nel tempo. «Il mio giudizio sui governi Crocetta è negativo, mi pare siano stati fatti tanti proclami ma pochi interventi, ma i problemi con i rifiuti in Sicilia si trovano già con i governi Cuffaro e Lombardo», sottolinea.
La situazione in Sicilia non è cambiata, con il governo regionale che ha iniziato l’ultimo anno di legislatura senza aver approvato quella riforma propedeutica al cambiamento. Solo pochi giorni fa, d’altronde, a poche ore l’una dall’altra sono arrivate le critiche dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) diretta da Raffaele Cantone e la notizia dei 31 arresti a Catania di affiliati al clan Cappello-Bonaccorsi, famiglia che avrebbe investito direttamente nel settore dei rifiuti, attraverso tre società.
«Cosa ho pensato quando ho letto degli arresti nel Catanese? Che i clan riescono a collaborare tra loro per raggiungere i loro obiettivi», dichiara Bratti. Il riferimento, ai limiti della provocazione, va all’incapacità delle istituzioni di mettere in campo le risposte necessarie. Tra gli elementi più problematici e sintomatici di quanto la situazione sia allo sbaraglio c’è il ripetuto ricorso alle ordinanze contingenti e urgenti da parte di chi, invece, dovrebbe innanzitutto avere la capacità di pianificare. «Sia a livello regionale che negli enti locali queste ordinanze sono diventate pane quotidiane – attacca il deputato – e rappresentano il modo migliore per bypassare la normativa». Gli esempi a riguardo sono tanti: dalle ripetute autorizzazioni alle discariche di ampliare la capacità di accoglienza dei rifiuti, agli affidamenti diretti a cui i Comuni spesso ricorrono per ragione di igiene e sanità, nell’attesa che le gare pubbliche vengano organizzate ed espletate.
«Finché si metteranno in campo iniziative temporanee, non c’è da stupirsi se le mafie continueranno a inserirsi nel settore». E il motivo è presto detto. «Attorno ai rifiuti girano tanti soldi e dove ci sono soldi ci sono gli appetiti della mafia. Le dico una cosa: mi è capitato di parlare con magistrati che dicevano che in Sicilia, a differenza di quanto accaduto in Campania con la camorra, Cosa nostra sarebbe meno attiva nel settore. Ho replicato – chiarisce Bratti – che l’interesse non sta solo nella gestione diretta quanto negli appalti». In tal senso, la misura dell’interdittiva antimafia più volte si è rivelata insufficiente. «È innegabile che i tempi delle prefetture siano troppo più lunghi rispetto a quelli con cui si affidano incarichi temporanei a società che in un secondo momento si scopre non essere pulite», aggiunge.
Il deputato parla poi di un aneddoto riguardante la presentazione della relazione a Palermo. «Mi aspettavo larga partecipazione da parte degli amministratori e invece è passata quasi sotto silenzio», ammette. Quando gli si chiede quale misure prenderebbe per iniziare concretamente a migliorare le cose, Bratti parte da un punto fermo: «Innanzitutto l’impiantistica. Non si possono ottenere risultati di differenziata adeguati ed evitare le emergenze se mancano gli impianti che devono trattare i rifiuti. Io non sono un amante dei termovalorizzatori, ma il ciclo del rifiuto va chiuso». Avere regole chiare e organi capaci di controllarne il rispetto rimane un punto imprescindibile. «Non bisogna cadere nell’errore per cui la differenziata sia un settore pulito, lontano dagli interessi della mafia. Non è così. Semplicemente – conclude Bratti – oggi avere le discariche e l’indifferenziata ad alti livelli risulta più proficuo per la criminalità».
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